Myanmar: liberati 20 prigioneri politici per la visita del presidente Sein negli Usa
Un riconoscimento del processo di riforme in senso democratico avviato in Myanmar.
È il significato attributo dalla diplomazia internazionale alla storica visita che
il presidente birmano, Thein Sein, tiene a Washington per incontrare il presidente
degli Stati Uniti, Barack Obama. E per sottolineare l’impegno della presidenza di
Sein, venerdì le autorità del Myanmar hanno concesso l'amnistia ad altri 20 detenuti
politici. Restano tuttavia ancora molti passi da compiere nel percorso di pacificazione
nazionale, come conferma, al microfono di Marco Guerra, Cecilia Brighi,
responsabile del sito birmaniademocratica.it:
R. – Obama è
andato in Birmania ad incontrare il presidente Thein Sein e Aung San Suu Kyi. Quella
visita è stata incentrata soprattutto su due questioni fondamentali: primo, il processo
di democratizzazione del Paese; secondo, il processo di pacificazione interna. Questi
due elementi stanno andando avanti pur con grandi difficoltà, perché cambiare repentinamente
il Paese, che è stato per oltre 50 anni sotto una violenta dittatura militare, non
è cosa semplice. Ci sono, quindi, dei passi in avanti e ci sono una serie di altri
grandi problemi: non è stata modificata, per esempio, la Costituzione. Aung San Suu
Kyi quindi ad oggi non potrà candidarsi nel 2015 alla presidenza della Repubblica.
Il nodo politico, dunque, più importante sarà il cambiamento della Costituzione e
la disponibilità del governo e del presidente, soprattutto, a fare questo passo, per
passare ad una situazione in cui tutte le norme democratiche fondamentali e lo Stato
di diritto siano garantiti.
D. – Che ruolo può giocare Washington in questa
regione?
R. – Gli Stati Uniti possono giocare un doppio ruolo. Il primo, di
carattere politico, perché giusto due settimane fa è stato rilasciato un rapporto
fatto dalle Camere americane, che condanna duramente la Birmania per le violazioni
delle libertà religiose e chiede al governo americano di mantenere una serie di sanzioni
economiche. Gli americani vogliono contare nei rapporti politici con la Birmania anche
come contraltare alla forte influenza che la Cina ha avuto sulla Birmania fino ad
oggi. Ovviamente cercano uno spazio geopolitico, ma anche economico in quell’area.
D.
– Che interessi ruotano intorno al Myanmar?
R. – E’ un Paese di grandi ricchezze
naturali e quindi si pensa che uno degli elementi centrali della crescita possa avvenire
dal settore dell’energia e dal settore del gas e del petrolio. Poi ci sono una serie
di altri settori importanti. La Birmania sta costruendo sette nuove zone industriali
e ce ne sono già 24. Ci sono una serie di interessi importantissimi e su questo terreno,
sia l’Unione Europea che gli Stati Uniti, hanno indicato quali dovrebbero essere le
regole per far lavorare le imprese in questi settori: rispetto della libertà di organizzazione
sindacale, diritti del lavoro, tutela ambientale.
D. – A che punto è il percorso
verso la piena democrazia e la pacificazione nazionale?
R. – Come ho detto
prima, un elemento importantissimo è l’eliminazione dei privilegi dei militari, che
sono nominati per il 25 per cento in tutte le istituzioni. L’altro elemento della
Costituzione è che si garantisca il federalismo, perché la Birmania è un Paese in
cui ci sono vari Stati etnici. Ad oggi, mentre sono stati firmati importanti accordi
di cessate-il-fuoco con i kareni, c’è un grosso conflitto nello Stato Kachin, a Nord
della Birmania.
D. – Ci sono state anche forti tensioni religiose oltre che
etniche, può parlarcene?
R. – Il problema della libertà religiosa è un problema
che mina e minaccia i progressi politici verso la democrazia. Questa violenza – che
dello Stato Kachin è rivolta nei confronti dei cristiani e nello Stato Arakan nei
confronti dei musulmani - sta mettendo a ferro e fuoco alcune zone del Paese, in
cui la questione religiosa è, al momento, molto scottante.