2013-05-19 13:03:42

Sentimenti a rappresentare la società: entra nel vivo la 66.ma edizione del Festival di Cannes


Il 66.mo Festival di Cannes comincia a prendere una sua precisa fisionomia. Dopo un inizio in cui i film, attraverso la rappresentazione delle azioni umane, arrivavano a rivelare l’intima struttura della società, improvvisamente sugli schermi della Croisette sono esplosi i sentimenti, in primo luogo l’amore, inteso come chimica elementare dei corpi e dello spirito. L’esplorazione delle dinamiche interiori è parte integrante di due opere importanti come “Jimmy P. (Psychotherapy of a Plains Indian)” di Arnaud Desplechin e “Inside Llewyn Davis” di Ethan e Joel Coen. Il primo è la cronaca del trattamento psicoanalitico applicato a un indiano d’America da parte di un antropologo francese, il secondo la storia agrodolce di un cantante folk degli anni Sessanta. Facendo duettare in maniera convincente due grandi attori come Benicio Del Toro e Mathieu Amalric, Desplechin ci introduce con uno sguardo nuovo in un mondo sconosciuto, quello delle culture ancestrali dei pellerossa. I due cineasti americani tratteggiano con qualche sorriso e molta tristezza la parabola di un fallimento umano e professionale. L’amore sta invece al centro di due film straordinari, come “Le passé” di Asghar Farhadi e “Like Father, Like Son” di Kore-eda Hirokazu. Il primo ne fa una precisa anatomia, attraverso il racconto avvincente e complesso della fine di un matrimonio. Lui arriva da Teheran a Parigi per firmare il suo consenso al divorzio. Lei lo aspetta come una vecchia conoscente, insieme ai figli di un precedente marito, al bimbo del suo attuale compagno e quello che porta in grembo. La cosa sembra fatta di lì a breve. Ma il peso dei sentimenti e l’irresistibile forza del passato renderanno tutto molto più difficile. Utilizzando un dispositivo già adottato in due film come “About Elly” e “Una separazione” - un teatro da camera basato sul pedinamento dei corpi - il cineasta iraniano mette in scena una sorta di investigazione dove il colpevole non esiste e tutti sono vittime, vittime delle aspettative, dei desideri delusi, delle ferite dell’anima. In una «no man’s land» geografica - Parigi è là ma si scorge appena - i personaggi sono perduti nella colpa, nel rancore, nella paura, nel dolore. Alla fine, tutto sta ancora nei dettagli, nei minimi gesti di umanità e di speranza, ben più forti delle parole, del non detto, dei torti, delle ragioni. La vita vince sempre, anche se non ci rivela mai i suoi perché. Una domanda percorre invece “Like Father, Like Son” di Kore-eda Hirokazu. Dove nasce l'amore? Dal sangue o dalla consuetudine? Il film racconta in maniera romanzata un fatto di cronaca. Un architetto, arrivista e benestante, scopre che il figlio che sta preparando in maniera pressoché scientifica a una carriera luminosa, non è il suo. Sei anni prima nella clinica dove è nato c’è stato uno scambio di neonati. Individuata la coppia coinvolta nello scambio – una coppia di modesta estrazione sociale dove regna il piacere di stare insieme - una scelta s’impone: rimettere le cose a posto, privilegiando il legame di sangue, o lasciare tutto come sta, assecondando un sentimento che si è creato negli anni? Una tale storia è per il regista giapponese l’occasione di una prospezione in profondità nella cultura in mutazione del suo Paese e dei sentimenti che la agitano. Fra perdenti e vincenti del nuovo corso dell’ordine mondiale, il cineasta sceglie l’umanità degli umili e dei sognatori contro l’arroganza delle nuove classi dirigenti. Lo fa non con proclami urlati, ma passando attraverso lo sguardo muto dei bambini. In fondo, anche una semplice fotografia scattata da un figlio può curare le ferite dell’anima. (Da Cannes, Luciano Barisone)RealAudioMP3

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 139







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