Emilia: trascorso un anno dal sisma che ha provocato 27 morti e danni per 12 miliardi
di euro
Mirandola, Medolla, Finale Emilia: nomi entrati nella memoria collettiva dopo il sisma
che li ha colpiti, un anno fa. La prima scossa: il 20 maggio, di magnitudo 5.9, alle
4 di mattina; la seconda, nove giorni dopo, di intensità inferiore ma sempre superiore
ai 5 gradi. 27 i morti in totale, 8mila sfollati, danni economici per oltre 12 miliardi
di euro, interi centri storici distrutti. La comunità emiliana in questi mesi ha reagito,
dando prova di tenacia e di forza. Ne è testimone Nicoletta Ianniello, del
Cesvi, ong che nell’Emila del dopo terremoto ha deciso di supportare l’azione di
tre cooperative sociali modenesi e di tre eccellenze imprenditoriali. Francesca
Sabatinelli l’ha intervistata:
R.
- Ad un anno di distanza ho riscontrato una grande volontà di ripartire da parte degli
emiliani. Tutti si sono dati un gran da fare per ripristinare una sorta di normalità.
Quindi la vita va sicuramente avanti, le imprese lavorano a pieno ritmo, ma i problemi
non sono di certo superati. In primis, i fondi statali non sono ancora arrivati, quindi
la popolazione si è data da fare come ha potuto con i fondi privati, investendo -
in qualche modo - i propri risparmi per cercare di far ripartire la vita di tutti
i giorni e la vita economica.
D. - Ci sono famiglie che vivono ancora nei moduli,
nei map. Parliamo di anziani, di bambini. Qual è la loro situazione?
R. - Ci
sono ancora tantissime famiglie, che in diversi paesi della provincia di Modena, vivono
nei map, in queste strutture abitative provvisorie di pochi metri quadrati. Ho visto
donne anziane, bambini, tantissime persone che appartengono alle comunità di immigrati
- che in queste zone sono numerose - vivere appunto in queste strutture provvisorie…
Loro si sentono addirittura fortunati ad avere questa sorta di “casa”. Si sentono
fortunati per essere sopravvissuti. Ovviamente, rimane il dispiacere per le case che
hanno perso e la preoccupazione per il futuro, perché il rischio è che la popolazione
emiliana, essendo percepita come una popolazione molto forte, molto positiva, che
si dà da fare, in qualche modo, venga considerata autonoma. Ed è vero che si sono
organizzati. Hanno fatto molte cose da soli, però è anche vero che hanno bisogno di
aiuti. È importante che non ci si dimentichi di questa tragedia che è stata veramente
pesante per queste zone della provincia di Modena, di altre zone dell’Emilia, della
bassa Lombardia, del Veneto. È importante non dimenticare e che ci sia una sensibilizzazione
anche per l’aiuto pubblico che ancora non è arrivato in questi territori.
D.
- Hai parlato della presenza degli immigrati. Sappiamo che in quella zona sono davvero
molti, vivevano nel quartiere storico dei centri che sono stati toccati dal terremoto.
La maggior parte di loro ha perso la casa. Per diversi mesi hanno convissuto con gli
italiani nelle tende. Questo ha dato origine a tensioni che precedentemente erano
invece sotto controllo, come sottolineate voi del Cesvi, che avete dato il vostro
appoggio ad una cooperativa sociale La mano sul berretto che ha cercato proprio di
aiutare e sostenere queste persone.
R. - Esatto. Le comunità di migranti sono
numerosissime in questa zona e sono di nazionalità diverse: ci sono cinesi, indiani,
pakistani, senegalesi, molti provengono dell’Est Europa e dal Nord Africa arrivano
soprattutto i marocchini. Queste persone vivevano nei centri storici e nei piccoli
paesi che sono stati completamente rasi al suolo. Quindi si sono trovati in grande
difficoltà perché hanno perso la casa e molti di loro vivono – appunto - nei map.
Quello che La mano sul berretto ha cercato di fare proprio all’indomani del terremoto,
è stato lavorare nelle tendopoli allestite nelle zone per fare un’attività di mediazione
dei conflitti culturali e linguistici. Queste comunità sono comunque bene integrate
e accettate nel territorio emiliano, però quando si sono trovate a convivere con la
popolazione italiana all’interno delle tende hanno evidentemente avuto dei problemi.
Proprio per cercare di facilitare comunque la comprensione tra culture diverse, La
mano sul berretto ha cercato di lavorare con degli operatori specializzati che hanno
provato ad avvicinare queste persone per superare queste barriere culturali.
D.
- E adesso per queste persone che situazione c’è? Sono tutti nei map?
R. -
Molte di queste persone sono nei map. Altre, hanno ricevuto un contributo definito
Cas che serve per trovare un alloggio autonomamente, quindi in questo momento vivono
magari in piccolissimi appartamenti di cui riescono a pagare l’affitto attraverso
questo sostegno pubblico. In ogni caso, di solito, sono moltissime le persone che
vivono in appartamenti troppo piccoli e molti si devono rivolgere comunque alla Caritas
o ad altre organizzazioni di aiuto per poter avere qualcosa da mangiare. In molti
casi queste persone hanno perso il lavoro, e quindi hanno delle grandi difficoltà
di carattere lavorativo per avere delle entrate economiche stabili.
D. - Da
una parte l’azione della cooperativa sociale La mano sul berretto, dall’altra quella
di Gulliver che si occupa di anziani e infanzia. Ma il Cesvi come collabora con queste
realtà?
R. - Il Cesvi collabora con Gulliver proprio per le attività che riguardano
il superamento del trauma del terremoto da parte dei bambini. La cooperativa Gulliver
ha quindi organizzato in tantissimi paesi della provincia di Modena 112 laboratori
che coinvolgono sia bambini sia genitori. Questo è stato fatto per tutti i mesi del
2012 successivi al terremoto. Ancora nel 2013, l’attività sta continuando nelle scuole,
negli asili nido. Attraverso questi laboratori, i bambini hanno la possibilità di
superare il trauma attraverso attività di tipo artistico, come la lavorazione dei
materiali da riciclo oppure interpretano delle storie … Tutti questi sono percorsi
di natura pedagogica che aiutano loro a rivivere le emozioni, qualche volta a superare
quelle negative parlandone tra di loro, trovando delle soluzioni a misura di bambino,
condividendo poi tutto questo percorso emozionale con i genitori, proprio perché sia
i bambini sia i genitori hanno subito dei traumi. E questi traumi legati al terremoto
nei bambini si sono manifestati anche attraverso dei comportamenti, in qualche modo,
disagiati come la perdita d’attenzione, di concentrazione o lo sviluppo di paure molto
irrazionali legate alla perdita della casa, all’arrivo di nuove scosse, piuttosto
che la paura di mostri o di bestie feroci. Queste sono – appunto - manifestazioni
tipiche infantili legate ad un evento traumatico molto forte.