Dieci anni dopo il saccheggio, nel caos seguito all'ingresso delle truppe americane
a Baghdad, il Museo Nazionale iracheno di archeologia lotta per la riapertura totale
e per la ricomposizione del suo patrimonio. A ricordarlo in un forum internazionale
oggi a Baghdad il ministero delle Antichità e del Turismo in occasione della Giornata
mondiale dei Musei. Annunciato anche l’accordo per la costruzione di un nuovo spazio
espositivo nella ex base aerea di al Muthana, segno concreto di una volontà di rinascita.
Gabriella Ceraso ne ha parlato con l’archeologo Giuseppe Proietti responsabile
dei progetti italiani all’estero:
R. – Il Museo
di Baghdad è uno dei musei più importanti di antichità al mondo; conservava la parte
certamente più importante del patrimonio archeologico ascrivibile a tre grandi culture:
dei sumeri, di Babilonia, degli assiri. Per esempio, i grandi rilievi assiri della
Sala Assira; molte delle opere del Sud dell’Iraq, luoghi leggendari della nascita
dell’uomo così come lo conosciamo noi su questa terra. Ur è la città da cui è partito
Abramo: erano ancora conservate nel museo alcune sculture, alcuni bronzi …
D.
– Che cosa è andato perdute e che cosa è tornato, invece, nel museo, oggi?
R.
– La gran parte di queste opere è stata trafugata: erano soprattutto sigilli in terracotta.
Ce ne sono a centinaia di migliaia … Le opere veramente importanti erano 37, tutte
nuovamente poi acquisite dal museo o attraverso una restituzione volontaria o attraverso
operazioni di intelligence. Pensi che i muezzin, dopo il furto, nelle loro preghiere
quotidiane invitavano la popolazione a restituire spontaneamente le opere che erano
state trafugate.
D. – E oggi, come appare?
R. – Una parte del museo
l’abbiamo riaperta. La Galleria assira, che è una delle parti più spettacolari, quella
con i grandi rilievi dei re assiri, completamente rinnovata anche nei suoi criteri
allestitivi, di illuminazione, e alla riapertura del museo era presente anche Al Maliki,
allora primo ministro iracheno. Il museo non è aperto tutti i giorni al pubblico,
ma non perché sia ancora devastato, bensì perché si trova in una zona che non è ancora
ritenuta sicura, tanto che il restauro del Vaso di Uruk, una delle due opere più importanti
tra quelle trafugate e poi restituite al museo, è stato eseguito da restauratori italiani
all’interno della cosiddetta zona verde, quella dove si trovano gli ex palazzi
presidenziali di Saddam, le ambasciate dei Paesi occidentali …
D. – Ora questo
passaggio ulteriore, di affidare la costruzione di un nuovo spazio per un’area che
era un’ex area militare, ad un grande architetto di origini irachene che ormai vive
a Londra, come Zaha Hadid: che ne pensa?
R. – Si parlava già da tempo che del
nuovo grande museo se ne occupi un architetto come Zaha Hadid, che noi in Italia conosciamo
bene perché è stato il progettista del Maxxi: è una scelta molto significativa da
parte delle autorità irachene. Evidentemente, vogliono che questo impegno sia considerato
un impegno di grande prestigio.
D. – Anche in Siria, come in Iraq allora, c’è
una guerra che sta durando da tanto tempo e sta distruggendo tanto patrimonio artistico
mondiale. Quello che è accaduto in Iraq nel tempo, ovvero un recupero parziale, si
può ipotizzare anche per la Siria?
R. – E’ veramente difficile, operare in
contesti di questa natura. Che cosa si può fare? Purtroppo, temo ben poco …