Vita e problemi dei "nuovi italiani" nel film "Sta per piovere"
E’ nei cinema italiani “Sta per piovere”, primo film a trattare la spinosa questione
della cittadinanza ai figli di immigrati nati in Italia. A dirigerlo, un giovane di
seconda generazione, metà italiano e meta iracheno. Ce ne parla Francesca Sabatinelli
:
Ius soli
e ius sanguinis, argomento difficile nell’Italia di oggi che fa i conti con oltre
500mila ragazzi nati in Italia ma figli di stranieri, e che non hanno avuto fino ad
ora il riconoscimento della loro italianità, con tutte le gravi conseguenze che ne
derivano. Nel film è la storia di Said che ci viene raccontata, ma potrebbe essere
quella di qualsiasi altro giovane che, come lui, si trova a rischio espulsione verso
un Paese, quello dei genitori, che questi ragazzi spesso conoscono solo attraverso
le guide turistiche. Said è algerino d’origine, fiorentino d’animo e di dialetto.
Tifa Italia, si dipinge il tricolore sul viso e canta l’inno di Mameli a cavallo del
suo motorino. Fidanzato con una ragazza italiana, studia come tutti i suoi coetanei,
ha sogni e fa promesse, fino allo scontro con la legislazione italiana, che lo respinge.
Sta per piovere è una coproduzione tra Italia, Iraq, Kuwait ed Emirati Arabi, ha vinto
il terzo premio al Festival di Dubai, prossimamente sarà a Sidney e San Paolo del
Brasile. Regista è Haider Rashid, italiano di madre, iracheno di padre, giunto al
suo terzo film
R. – C’è stata una ricerca, anche dal punto di vista legale,
per cercare di capire quale fosse la condizione dei ragazzi di seconda generazione,
quali fossero i requisiti minimi di legge per ottenere la cittadinanza e ci siamo
resi conto che è una questione molto complessa. Addirittura, mentre stavamo scrivendo
il film, pensavamo di aver creato un caso limite. Poi, ci siamo resi conto che la
realtà è molto più difficile e molto più tragica. “Sta per piovere” è una fotografia
di quello che sta succedendo in Italia, di tutte queste persone che purtroppo non
possono contribuire alla vita del Paese come vorrebbero. E’ un film che va dritto
al punto, che si rifà al cinema di protesta degli anni ’70, degli anni ’80. Sono film
che purtroppo si fanno molto poco ormai, ma credo che, specialmente per il momento
storico in cui viviamo, sia importante riuscire a tornare anche su questo tipo di
cinema di denuncia sociale, che possa poi andare a creare emozioni nel pubblico ed
empatia verso i personaggi.
D. – Nel film punti anche molto sull’inno, sul
tricolore: immagini retoriche…
R. - Assolutamente sì. C’è un discorso molto
importante nel film sulla retorica, sui simboli. Puntiamo molto a cercare di far capire
cosa significhi la condizione di essere tra due culture, tra due Stati. In Italia
spesso c’è difficoltà nell’accettazione dei simboli, come l’inno, come la bandiera,
mentre spesso, per le seconde generazioni, questi simboli sono un punto di arrivo
ma anche un punto di ri-partenza. C’è molto orgoglio rispetto all’inno. Personalmente,
io mi emoziono quando sento l’inno e vedo che anche mio padre, per esempio, che sta
da 34 anni in Italia, pur non essendo italiano, si emoziona molto, perché c’è un senso
di appartenenza che comunque rivendichiamo. Si tratta di persone che vengono da Paesi
a cui è stata negata l’unità nazionale, a cui è stata negata la democrazia, e che
sentono la necessità di dimostrare anche il loro affetto verso questi simboli.
D.
– Persone a cavallo di due Stati, di due culture… E’ un po’ il tuo ritratto, nato
in Italia, da papà iracheno, da mamma italiana, con un nome e un cognome stranieri…
R.
– Sì, è stato strano crescere in Italia con un nome arabo. Lo è tuttora perché la
prima reazione, automatica, che si ha quando si vede un nome “strano” è quello di
pensare che la persona non sia italiana. Io stesso, essendo cresciuto nella cultura
italiana, ho la stessa reazione quando conosco qualcuno che ha tratti somatici diversi
da quelli classici italiani o che ha un nome diverso. Però questa è una cosa che sta
cambiando e non credo abbia molto senso opporsi perché è un cambiamento naturale,
quasi biologico, che fa parte dell’evoluzione culturale e si ricrea nella storia di
tutti i Paesi.