2013-05-18 17:19:04

Vita e problemi dei "nuovi italiani" nel film "Sta per piovere"


E’ nei cinema italiani “Sta per piovere”, primo film a trattare la spinosa questione della cittadinanza ai figli di immigrati nati in Italia. A dirigerlo, un giovane di seconda generazione, metà italiano e meta iracheno. Ce ne parla Francesca Sabatinelli : RealAudioMP3

Ius soli e ius sanguinis, argomento difficile nell’Italia di oggi che fa i conti con oltre 500mila ragazzi nati in Italia ma figli di stranieri, e che non hanno avuto fino ad ora il riconoscimento della loro italianità, con tutte le gravi conseguenze che ne derivano. Nel film è la storia di Said che ci viene raccontata, ma potrebbe essere quella di qualsiasi altro giovane che, come lui, si trova a rischio espulsione verso un Paese, quello dei genitori, che questi ragazzi spesso conoscono solo attraverso le guide turistiche. Said è algerino d’origine, fiorentino d’animo e di dialetto. Tifa Italia, si dipinge il tricolore sul viso e canta l’inno di Mameli a cavallo del suo motorino. Fidanzato con una ragazza italiana, studia come tutti i suoi coetanei, ha sogni e fa promesse, fino allo scontro con la legislazione italiana, che lo respinge. Sta per piovere è una coproduzione tra Italia, Iraq, Kuwait ed Emirati Arabi, ha vinto il terzo premio al Festival di Dubai, prossimamente sarà a Sidney e San Paolo del Brasile. Regista è Haider Rashid, italiano di madre, iracheno di padre, giunto al suo terzo film


R. – C’è stata una ricerca, anche dal punto di vista legale, per cercare di capire quale fosse la condizione dei ragazzi di seconda generazione, quali fossero i requisiti minimi di legge per ottenere la cittadinanza e ci siamo resi conto che è una questione molto complessa. Addirittura, mentre stavamo scrivendo il film, pensavamo di aver creato un caso limite. Poi, ci siamo resi conto che la realtà è molto più difficile e molto più tragica. “Sta per piovere” è una fotografia di quello che sta succedendo in Italia, di tutte queste persone che purtroppo non possono contribuire alla vita del Paese come vorrebbero. E’ un film che va dritto al punto, che si rifà al cinema di protesta degli anni ’70, degli anni ’80. Sono film che purtroppo si fanno molto poco ormai, ma credo che, specialmente per il momento storico in cui viviamo, sia importante riuscire a tornare anche su questo tipo di cinema di denuncia sociale, che possa poi andare a creare emozioni nel pubblico ed empatia verso i personaggi.

D. – Nel film punti anche molto sull’inno, sul tricolore: immagini retoriche…

R. - Assolutamente sì. C’è un discorso molto importante nel film sulla retorica, sui simboli. Puntiamo molto a cercare di far capire cosa significhi la condizione di essere tra due culture, tra due Stati. In Italia spesso c’è difficoltà nell’accettazione dei simboli, come l’inno, come la bandiera, mentre spesso, per le seconde generazioni, questi simboli sono un punto di arrivo ma anche un punto di ri-partenza. C’è molto orgoglio rispetto all’inno. Personalmente, io mi emoziono quando sento l’inno e vedo che anche mio padre, per esempio, che sta da 34 anni in Italia, pur non essendo italiano, si emoziona molto, perché c’è un senso di appartenenza che comunque rivendichiamo. Si tratta di persone che vengono da Paesi a cui è stata negata l’unità nazionale, a cui è stata negata la democrazia, e che sentono la necessità di dimostrare anche il loro affetto verso questi simboli.

D. – Persone a cavallo di due Stati, di due culture… E’ un po’ il tuo ritratto, nato in Italia, da papà iracheno, da mamma italiana, con un nome e un cognome stranieri…

R. – Sì, è stato strano crescere in Italia con un nome arabo. Lo è tuttora perché la prima reazione, automatica, che si ha quando si vede un nome “strano” è quello di pensare che la persona non sia italiana. Io stesso, essendo cresciuto nella cultura italiana, ho la stessa reazione quando conosco qualcuno che ha tratti somatici diversi da quelli classici italiani o che ha un nome diverso. Però questa è una cosa che sta cambiando e non credo abbia molto senso opporsi perché è un cambiamento naturale, quasi biologico, che fa parte dell’evoluzione culturale e si ricrea nella storia di tutti i Paesi.







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