Colloqui incrociati sulla crisi siriana. Opinione diffusa sull'uscita di scena di
Assad
Lungo colloquio ieri alla Casa Bianca tra il presidente americano Obama ed il premier
turco Erdogan. Sul tavolo il conflitto in Siria per il quale – ha detto Obama – non
“esiste una formula magica”. Entrambi hanno concordato sulla necessità dell’uscita
di scena di Assad; al centro dell’incontro anche il ricorso alle armi chimiche che
sarebbero state impiegate dall’esercito regolare siriano. Il servizio di Elena
Molinari:
Barack Obama
e Recep Tayyip Erdogan si sono detti ancora una volta determinati ad aumentare la
pressione sul regime siriano, ma non hanno spiegato come intendano raggiungere questo
obiettivo. Il presidente americano ha ripetuto che non c’e’ "una formula magica",
per costringere Assad ad abbandonare il potere. Ma ha aggiunto di sperare che la conferenza
di pace che ha organizzato con la Russia a Ginevra per i primi di giugno possa porre
fine alle violenze, che hanno già causato la morte di oltre 94.000 persone. Obama
non ha però fornito alcune segnale che, accogliendo le richieste dei turchi, gli Usa
abbiano deciso di armare i ribelli anti-Assad. Il presidente ha inoltre preso tempo
su un possibile intervento militare, confermando che attende di avere prove inequivocabili
che Damasco abbia usato armi chimiche. “Dobbiamo avere informazioni più specifiche”,
ha spiegato, riservandosi però il diritto, "di compiere ulteriori passi, sia diplomatici
che militari". Erdogan ha dichiarato di "condividere pienamente" il punto di vista
Usa sulla necessità di porre fine al massacro in Siria e di passare ad un governo
senza Assad.
Oggi di Siria discuteranno a Sochi, in Russia, anche il segretario
generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon ed il presidente russo Putin. Intanto nel
Paese siriano non accenna a diminuire l’ondata di violenza, mentre anche Israele lancia
pesanti accuse al governo di Damasco. Sentiamo Marina Calculli:
Dopo l’attacco
contro un carico di armi dirette a Hezbollah, Tel Aviv ribadisce che la difesa israeliana
farà di tutto perché alcun materiale da combattimento finisca nelle mani del partito
e gruppo militante libanese, fedelissimo a Bashar. Israele avverte anche: se la Siria
risponderà all’attacco, la contro-risposta israeliana sarà durissima. La Russia intanto
chiede che alla conferenza organizzata con Washington siano presenti anche due attori
chiave di questo conflitto: l’Iran, alleato di Asad e l’Arabia Saudita, suo principale
oppositore e finanziatore dei jihadisti che dalla regione vanno a combattere in Siria.
E proprio un saudita, d’altra parte, è stato ieri identificato in un video dall’Osservatorio
Siriano per i diritti umani come artefice di una esecuzione di cittadini filo-Asad.
Intanto l’esercito siriano sta procedendo verso la città di al-Kosir nella regione
di Homs. I ribelli hanno lanciato l’allarme: presto qui potrebbe esserci un nuovo
massacro.
A preoccupare è anche la situazione umanitaria. I profughi siriani
che hanno trovato rifugio in Libano infatti sono ormai più di un milione. Lo rivela
l'International Crisis Group (Icg), l'Organizzazione indipendente non governativa
impegnata nella soluzione dei conflitti. Il Libano, la cui popolazione supera di poco
i quattro milioni di abitanti, quanto sta soffrendo questa presenza così massiccia
dei rifugiati siriani? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a mons. Simon Atallah,
vescovo di Baalbek - Deir El-Ahmar dei Maroniti:
R. – C’è una
comunione con loro, una partecipazione alle loro ferite, a questa situazione oscura
che soffre il popolo siriano. Noi accogliamo questi siriani con molto cuore. Il guaio,
però, è che lo Stato non arriva ad organizzare nulla, soprattutto in questo periodo
in cui il governo stesso è in crisi, è dimissionario.
D. – Quindi, cosa succede
ai profughi che arrivano in Libano?
R. – C’è una confusione enorme. Si sparpagliano
in tutto il Paese, entrano ed escono quando vogliono, senza nessun controllo.
D.
– C’è quindi anche un problema di sicurezza...
R. – Un problema di sicurezza,
un problema di lavoro. Questa gente cerca lavoro. Purtroppo, i libanesi li prendono
pagandoli meno di un operaio libanese, per esempio. Anche nelle libere professioni,
come quella del medico, si creano cliniche e si comincia a lavorare senza licenza,
senza nulla. Questo è davvero un problema e crea una crisi economica al cittadino
libanese.
D. – Sappiamo anche che sono aumentati di molto i prezzi degli affitti
e c’è una escalation di delinquenza. Ci sono pregiudizi nei confronti dei siriani?
R.
– Molti, perché lei sa che i siriani hanno occupato il Libano per più di 30 anni e
si sono comportati male purtroppo. Persino il presidente siriano lo aveva confessato.
I libanesi, quindi, hanno maturato un sentimento ostile verso questo popolo e, ora
che si trova nei guai, il libanese si trova in imbarazzo. La sua morale dice che bisogna
accoglierli e l’esperienza che ha fatto è dura.
D. – In quanto Chiesa libanese,
voi cosa state organizzando per questi rifugiati?
R. – Noi, attraverso soprattutto
Caritas Libano, stiamo organizzandoci il più possibile per poterli soddisfare e venirgli
incontro nei bisogni. I bisogni però sono molto grandi e superano le possibilità della
Chiesa e dello Stato. Ci sono Stati che hanno promesso aiuti, ma fino adesso non c’è
nulla di chiaro e spesso sono promesse più che realtà.
D. – Vuole lanciare
un appello dai microfoni della Radio Vaticana?
R. – Noi siamo veramente grati
al Vaticano e all’Italia, perché tanti organismi italiani lavorano sul posto e rendono
molti servigi.
D. – Un appello invece per quegli Stati che ancora non stanno
inviando aiuti...
R. – Purtroppo, devo dire che mandano armi facilmente e per
quanto riguarda le cose vitali sono sempre in ritardo.