Crolla fabbrica in Cambogia. Allarme dell'Ilo per la sicurezza nei luoghi di lavoro
Dopo quanto accaduto in Bangladesh, con il crollo di un complesso industriale nel
quale hanno perso la vita oltre mille persone, mercoledì in Cambogia una fabbrica
di scarpe ha ceduto non lontano dalla capitale Phnom Penh. Incerto il numero delle
vittime, in un primo momento si era parlato di sei. L’incidente riaccende i riflettori
sulla condizione dei lavoratori cambogiani, l’85% dei quali sono irregolari, e più
volte si è denunciata la mancanza di sicurezza dei luoghi di lavoro. Qual è la condizione
degli operai in Cambogia? Benedetta Capelli lo ha chiesto a Luigi Cal,direttore per l'Italia e San Marino dell'Ufficio Ilo, l'Organizzazione internazionale
per il lavoro:
R. – E' una
condizione tipica dei Paesi asiatici che basano il loro sviluppo sullo sfruttamento
totale delle persone, soprattutto delle donne, nel settore tessile che comporta, in
Cambogia, l’85% dell’export nazionale, in un Paese dove l’85% della popolazione lavora
in nero. E’ un Paese che – dal punto di vista dell’Ilo – ha ratificato tutte le Convenzioni
fondamentali, quindi quelle che riguardano i rapporti sindacali, il lavoro minorile,
il lavoro in schiavitù. Però, di fatto poi non vengono osservate, soprattutto dalle
multinazionali dei Paesi sviluppati. Si ripete in più piccolo, disgraziatamente, quello
che è successo un mese fa a Dacca, in Bangladesh.
D. – Sulle multinazionali
occidentali: concretamente, quali sono le responsabilità? E poi, ci sono delle norme
per le quali è possibile perseguire questi comportamenti irrispettosi del lavoro?
R.
– L’Organizzazione internazionale del lavoro ha certi strumenti che, naturalmente,
non sono la polizia. Qui, il problema passa nelle mani dei rispettivi governi e quindi,
per esempio, bisognerebbe cominciare in Asia con la questione dell’ispezione nel lavoro.
A Dacca, su 50 milioni di abitanti, sa quanti ispettori del lavoro ci sono? 50 ispettori.
Quello che si può fare è ciò che è stato fatto proprio in questi giorni, con la regia
dell’Organizzazione internazionale del lavoro, che ha cercato di mettere attorno al
tavolo le multinazionali che erano interessate al disastro che è avvenuto a Dacca.
E’ stato firmato un accordo con parecchie di queste imprese, che erano lì presenti:
questo accordo garantisce, per esempio, che le condizioni in tutti i luoghi di lavoro,
ma anche rispetto ai sub-fornitori, siano umane e che ci siano migliori trattamenti
economici. Anche in questo caso, stiamo parlando di lavoratori che prendono 70 dollari
al mese, neanche 50 euro. In questo accordo, si chiede alle multinazionali di coprire
i costi che servono per migliorare le condizioni di lavoro e le infrastrutture. Le
imprese europee hanno firmato questo accordo, mentre le imprese americane purtroppo
no. L’Ilo credo farà la sua pressione, proprio perché anche i governi intervengano
per spingere queste imprese a cambiare atteggiamento e ad impegnarsi in nuovi accordi
internazionali.
D. – Papa Francesco, nei giorni scorsi, ha fatto diversi appelli
perché il lavoro sia dignitoso e non sinonimo di schiavitù. Oggi, l’Ilo quale appello
si sente di fare, soprattutto, per quali Paesi porre attenzione? Abbiamo parlato molto
dell’Asia, ma ci sono altri scenari che preoccupano l’Ilo?
R. – Sì, oltre all’Asia
ci sono moltissimi Paesi dell’Africa nera dove c’è il lavoro minorile, dove non c’è
nessuna sicurezza sociale. Lo stesso problema c’è in qualche Paese dell’America Latina,
che però sta migliorando moltissimo. Nei Paesi del Medio Oriente e dei Paesi del Golfo,
si registra invece quello che Papa Francesco chiama la "schiavitù" e che avviene all’interno
del lavoro domestico. L’Ilo ha un occhio su tutte queste realtà, sia attraverso i
sindacati ma anche attraverso le imprese e i governi: può così controllare questi
fenomeni e richiamare, spingere, esortare. E credo che l’Ilo avrà ed ha – sicuramente
– in Papa Francesco un grandissimo alleato su questo terreno.