2013-05-15 07:39:05

Militari Usa a Sigonella. Italia: "rispettati gli accordi". La Libia ridimensiona l'attentato di Bengasi


In Libia sarebbe stata meramente accidentale, e non dovuta a un attentato, l'esplosione avvenuta lunedì davanti all'ospedale di Bengasi. Ridimensionato anche il bilancio delle vittime. Intanto non si fermano le polemiche in Italia per la decisione degli Stati Uniti di rafforzare il contingente della base militare di Sigonella, in Sicilia, per un eventuale intervento in Libia. Massimiliano Menichetti:RealAudioMP3

Gli Stati Uniti sono pronti ad intervenire in tempi brevissimi in caso di nuovo attacco terroristico al personale diplomatico in Libia.Trasferiti dalla Spagna, infatti, nella base militare di Sigonella 500 marines, munizioni ed aerei a decollo verticale. La decisione, che ha provocato non poche reazioni in Italia, spiega il ministero della Difesa: “è conforme agli accordi bilaterali”. I soldati americani sono arrivati in Italia dopo le dichiarazioni del presidente Usa Obama, che ribadisce di non aver insabbiato i “fatti di Bengasi” dell’11 settembre dello scorso anno, quando morirono in un assalto terroristico l'ambasciatore Usa in Libia, Christopher Stevens, due marines e un funzionario. Dalla Libia intanto viene ridimensionata l’esplosione di lunedì nei pressi dell'ospedale al-Jalaa: 3 morti e 14 feriti, il nuovo bilancio ufficiale. Secondo un membro del Consiglio Municipale non si sarebbe trattato di un attentato: l’auto saltata in aria non sarebbe stata una vera auto-bomba, ma semplicemente una vettura appartenente a un pescatore, che stava trasportando esplosivo utilizzabile per catturare prede, una tesi, però, che per ora non ha riscontri ufficiali. Certa è l’instabilità del Paese e le proteste di migliaia di persone che chiedono un rafforzamento della sicurezza, una maggiore presenza dei militari nelle città e lo scioglimento di tutte le milizie non autorizzate. Ieri il Congresso Nazionale libico ha annullato la riunione prevista a Tripoli per consentire ai deputati di partecipare ai funerali delle vittime dell'attentato.

Sulla situazione in Libia, Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento di Gabriele Iacovino, responsabile analisti del Centro studi internazionali:RealAudioMP3

R. – In Libia, c’è una situazione di instabilità e di difficoltà estrema delle istituzioni nel gestire il post-Gheddafi, che ormai si protrae da quasi due anni. Soprattutto, c’è una situazione di instabilità alimentata sia dai gruppi – dalle milizie che non sono mai rientrate nell’unico esercito libico – ma anche dai gruppi legati al panorama terroristico di tipo "qaedista" e che in questo momento provengono un po’ da tutta la regione del Nordafrica.

D. – Come si mettono insieme ricerca di democrazia, instabilità e la necessità di costruire un sistema istituzionale?

R. – Diciamo che la Libia è stata un po’ abbandonata a se stessa, dopo l’intervento internazionale. Si è creato un vuoto di potere che in questo momento non trova una soluzione. La Libia è tornata a essere quell’insieme di tribù che di fatto è sempre stata, e comunque di regioni diverse: la Cirenaica, il Fez, la stessa Tripolitania. Ora, la difficoltà più grande delle istituzioni libiche è quella di ricostruire il senso dello Stato, delle istituzioni in grado di mantenere lo Stato unito.

D. – Ma quindi serve un appoggio dall’esterno, oppure è necessario che dall’interno si trovi una via per riunire questa situazione così frammentata?

R. – Sicuramente, la Libia deve trovare al proprio interno la forza di cercare una propria stabilizzazione. Certo è che le stesse istituzioni internazionali – penso alle Nazioni Unite o comunque all’Unione Europea – potrebbero giocare un ruolo importante nella stabilizzazione, nell’aiutare a costruire il post-Gheddafi, dando il proprio supporto alla ricostruzione delle istituzioni di uno Stato che si è sgretolato, che continua a sgretolarsi e che da solo mostra difficoltà nella ricostruzione.

D. – In questo scenario, è stato spostato un contingente di circa 500 marines dalla Spagna alla base di Sigonella, in Sicilia: è possibile un intervento?

R. – Gli Stati Uniti non vogliono trovarsi nuovamente impreparati a un possibile attentato contro l’Ambasciata americana a Tripoli. Il Consolato americano a Bengasi in questo momento non è funzionante dopo l’attentato dell’11 settembre scorso. Più che un intervento, direi che si tratta di una scelta della amministrazione Obama contro le critiche, sia dell’opposizione sia da alcuni democratici, per la mancata prevenzione dell’attentato a Bengasi l’11 settembre scorso.

D. – La Libia aveva un ruolo strategico all’interno del Maghreb: c’è il rischio che la situazione sul terreno, così frammentata, in realtà sia veicolo per nuove forze terroristiche?

R. – E’ indubbio che laddove vi sia un vuoto di potere, soprattutto in Nordafrica – e il caso del Mali è comunque un esempio significativo – quei movimenti legati al qaedismo internazionale possono trovare terreno fertile per porre le proprie basi e per andare a rafforzarsi. La debolezza intrinseca della Libia – dal punto di vista istituzionale, politico ed economico – certamente non fa altro che ampliare i rischi del rafforzamento di gruppi qaedisti nel Nordafrica.







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