Militari Usa a Sigonella. Italia: "rispettati gli accordi". La Libia ridimensiona
l'attentato di Bengasi
In Libia sarebbe stata meramente accidentale, e non dovuta a un attentato, l'esplosione
avvenuta lunedì davanti all'ospedale di Bengasi. Ridimensionato anche il bilancio
delle vittime. Intanto non si fermano le polemiche in Italia per la decisione degli
Stati Uniti di rafforzare il contingente della base militare di Sigonella, in Sicilia,
per un eventuale intervento in Libia. Massimiliano Menichetti:
Gli Stati
Uniti sono pronti ad intervenire in tempi brevissimi in caso di nuovo attacco terroristico
al personale diplomatico in Libia.Trasferiti dalla Spagna, infatti, nella base militare
di Sigonella 500 marines, munizioni ed aerei a decollo verticale. La decisione, che
ha provocato non poche reazioni in Italia, spiega il ministero della Difesa: “è conforme
agli accordi bilaterali”. I soldati americani sono arrivati in Italia dopo le dichiarazioni
del presidente Usa Obama, che ribadisce di non aver insabbiato i “fatti di Bengasi”
dell’11 settembre dello scorso anno, quando morirono in un assalto terroristico l'ambasciatore
Usa in Libia, Christopher Stevens, due marines e un funzionario. Dalla Libia intanto
viene ridimensionata l’esplosione di lunedì nei pressi dell'ospedale al-Jalaa: 3 morti
e 14 feriti, il nuovo bilancio ufficiale. Secondo un membro del Consiglio Municipale
non si sarebbe trattato di un attentato: l’auto saltata in aria non sarebbe stata
una vera auto-bomba, ma semplicemente una vettura appartenente a un pescatore, che
stava trasportando esplosivo utilizzabile per catturare prede, una tesi, però, che
per ora non ha riscontri ufficiali. Certa è l’instabilità del Paese e le proteste
di migliaia di persone che chiedono un rafforzamento della sicurezza, una maggiore
presenza dei militari nelle città e lo scioglimento di tutte le milizie non autorizzate.
Ieri il Congresso Nazionale libico ha annullato la riunione prevista a Tripoli per
consentire ai deputati di partecipare ai funerali delle vittime dell'attentato.
Sulla
situazione in Libia, Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento di Gabriele
Iacovino, responsabile analisti del Centro studi internazionali:
R. – In Libia,
c’è una situazione di instabilità e di difficoltà estrema delle istituzioni nel gestire
il post-Gheddafi, che ormai si protrae da quasi due anni. Soprattutto, c’è una situazione
di instabilità alimentata sia dai gruppi – dalle milizie che non sono mai rientrate
nell’unico esercito libico – ma anche dai gruppi legati al panorama terroristico di
tipo "qaedista" e che in questo momento provengono un po’ da tutta la regione del
Nordafrica.
D. – Come si mettono insieme ricerca di democrazia, instabilità
e la necessità di costruire un sistema istituzionale?
R. – Diciamo che la Libia
è stata un po’ abbandonata a se stessa, dopo l’intervento internazionale. Si è creato
un vuoto di potere che in questo momento non trova una soluzione. La Libia è tornata
a essere quell’insieme di tribù che di fatto è sempre stata, e comunque di regioni
diverse: la Cirenaica, il Fez, la stessa Tripolitania. Ora, la difficoltà più grande
delle istituzioni libiche è quella di ricostruire il senso dello Stato, delle istituzioni
in grado di mantenere lo Stato unito.
D. – Ma quindi serve un appoggio dall’esterno,
oppure è necessario che dall’interno si trovi una via per riunire questa situazione
così frammentata?
R. – Sicuramente, la Libia deve trovare al proprio interno
la forza di cercare una propria stabilizzazione. Certo è che le stesse istituzioni
internazionali – penso alle Nazioni Unite o comunque all’Unione Europea – potrebbero
giocare un ruolo importante nella stabilizzazione, nell’aiutare a costruire il post-Gheddafi,
dando il proprio supporto alla ricostruzione delle istituzioni di uno Stato che si
è sgretolato, che continua a sgretolarsi e che da solo mostra difficoltà nella ricostruzione.
D.
– In questo scenario, è stato spostato un contingente di circa 500 marines
dalla Spagna alla base di Sigonella, in Sicilia: è possibile un intervento?
R.
– Gli Stati Uniti non vogliono trovarsi nuovamente impreparati a un possibile attentato
contro l’Ambasciata americana a Tripoli. Il Consolato americano a Bengasi in questo
momento non è funzionante dopo l’attentato dell’11 settembre scorso. Più che un intervento,
direi che si tratta di una scelta della amministrazione Obama contro le critiche,
sia dell’opposizione sia da alcuni democratici, per la mancata prevenzione dell’attentato
a Bengasi l’11 settembre scorso.
D. – La Libia aveva un ruolo strategico all’interno
del Maghreb: c’è il rischio che la situazione sul terreno, così frammentata, in realtà
sia veicolo per nuove forze terroristiche?
R. – E’ indubbio che laddove vi
sia un vuoto di potere, soprattutto in Nordafrica – e il caso del Mali è comunque
un esempio significativo – quei movimenti legati al qaedismo internazionale possono
trovare terreno fertile per porre le proprie basi e per andare a rafforzarsi. La debolezza
intrinseca della Libia – dal punto di vista istituzionale, politico ed economico –
certamente non fa altro che ampliare i rischi del rafforzamento di gruppi qaedisti
nel Nordafrica.