2013-05-15 15:05:51

Francia in recessione, crollo produzione industriale in Italia, Germania cresce


Nell’Ue dall'inizio della crisi nel 2008 sono stati persi 3,8 milioni di posti di lavoro nel comparto industriale, che rappresenta il 75% delle esportazioni. L’ha ricordato ieri il vice presidente della Commissione, Tajani, annunciando, per il 6 giugno a Bruxelles, una Conferenza di Alto Livello per discutere della nuova politica industriale europea. Intanto la Francia è tecnicamente in recessione. La Germania segna un debole +0,1% del Pil. E l’Italia si distingue per la stagnazione della produzione industriale e per il crollo del mercato immobiliare. Nell’intervista di Fausta Speranza, Matteo Caroli, docente di Economia e gestione delle imprese all’Università Luiss, chiede urgentemente riforme strutturali :RealAudioMP3

R. - La Germania si avvantaggia sostanzialmente di riforme strutturali - che ha realizzato con coraggio una decina, quindicina di anni fa - in particolare sul fronte della flessibilità del lavoro. La Francia paga invece un’azione di questi ultimi anni abbastanza penalizzante sul fronte delle imprese. Naturalmente, su tutto questo c’è una difficoltà di carattere generale di tutta l’Europa, che paga un euro assolutamente sopravvalutato. Quindi, c’è un tema di carattere europeo che evidentemente richiede un cambiamento delle politiche e il rilancio di azioni espansive sul fronte monetario.

D. - Si può dire che queste famose “riforme strutturali” la Francia le stia in parte avviando, mentre in Italia vediamo ancora solo espressioni di auspicio…

R. - La Francia non so quanto effettivamente si stia muovendo nella giusta direzione. In Italia, pare si stiano facendo molti ragionamenti, ci sono molte buone intenzioni sul tavolo - anche da parte del nuovo governo - e l’auspicio del mondo produttivo è che queste buone intenzioni si traducano rapidamente in pratica. Ci vuole coraggio, non c’è dubbio, perché si tratta anche di cambiare modi di fare e abitudini ormai consolidate, ma bisogna cambiare.

D. - Possiamo fare qualche esempio per capire effettivamente di cosa parliamo quando parliamo di “riforme strutturali”?

R. - Quando parliamo di “riforme strutturali” parliamo ad esempio di un forte abbattimento del così detto “cuneo fiscale”, cioè della differenza tra quello che percepisce un lavoratore e quello che costa all’azienda il lavoratore. Parliamo di una maggiore flessibilità - in entrata ed anche in uscita - del lavoro, per cui l’azienda deve poter utilizzare al meglio il lavoro e valorizzarlo, ma poi quando è in crisi, come in questa situazione, deve poter rapidamente dimensionare la sua forza lavoro rispetto a ciò che è necessario - identificando naturalmente delle forme di protezione per quei lavoratori che escono, anche rapidamente, dall’attività produttiva e identificando dei meccanismi di ricollocazione professionale per tali persone. È chiaro che c’è in questo caso un problema sociale da gestire - e va gestito - ma piuttosto che investire centinaia di milioni in cassa integrazione, io questi soldi li investirei trovando dei meccanismi di riposizionamento dei lavoratori che vengono licenziati.

D . - Il mercato delle case bloccato in Italia sembra facilmente comprensibile in fase di crisi, ma c’è altro da dire?

R. - Il mercato delle case è bloccato perché il forte incremento della tassazione sulle case ovviamente ne ha ridotto il valore e l’appetibilità. Questo è un altro grosso problema che peraltro, dal punto di vista psicologico, fa sentire le persone meno ricche - di fatto lo sono, perché il loro valore patrimoniale ha meno valore - quindi questo si riflette inevitabilmente su questo pessimismo di fondo e su questa riduzione dei consumi che è un altro grande problema. Anche qui il governo attuale sta ragionando in maniera, secondo me, molto opportuna, con un ripensamento complessivo della tassazione sulla casa, che riguarda ad esempio anche il tema degli affitti, il tema delle seconde case e quant’altro. Questo è opportuno, ma va fatto in maniera rapida.







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