Francia in recessione, crollo produzione industriale in Italia, Germania cresce
Nell’Ue dall'inizio della crisi nel 2008 sono stati persi 3,8 milioni di posti di
lavoro nel comparto industriale, che rappresenta il 75% delle esportazioni. L’ha ricordato
ieri il vice presidente della Commissione, Tajani, annunciando, per il 6 giugno a
Bruxelles, una Conferenza di Alto Livello per discutere della nuova politica industriale
europea. Intanto la Francia è tecnicamente in recessione. La Germania segna un debole
+0,1% del Pil. E l’Italia si distingue per la stagnazione della produzione industriale
e per il crollo del mercato immobiliare. Nell’intervista di Fausta Speranza, Matteo
Caroli, docente di Economia e gestione delle imprese all’Università Luiss, chiede
urgentemente riforme strutturali :
R. - La Germania
si avvantaggia sostanzialmente di riforme strutturali - che ha realizzato con coraggio
una decina, quindicina di anni fa - in particolare sul fronte della flessibilità del
lavoro. La Francia paga invece un’azione di questi ultimi anni abbastanza penalizzante
sul fronte delle imprese. Naturalmente, su tutto questo c’è una difficoltà di carattere
generale di tutta l’Europa, che paga un euro assolutamente sopravvalutato. Quindi,
c’è un tema di carattere europeo che evidentemente richiede un cambiamento delle politiche
e il rilancio di azioni espansive sul fronte monetario.
D. - Si può dire che
queste famose “riforme strutturali” la Francia le stia in parte avviando, mentre in
Italia vediamo ancora solo espressioni di auspicio…
R. - La Francia non so
quanto effettivamente si stia muovendo nella giusta direzione. In Italia, pare si
stiano facendo molti ragionamenti, ci sono molte buone intenzioni sul tavolo - anche
da parte del nuovo governo - e l’auspicio del mondo produttivo è che queste buone
intenzioni si traducano rapidamente in pratica. Ci vuole coraggio, non c’è dubbio,
perché si tratta anche di cambiare modi di fare e abitudini ormai consolidate, ma
bisogna cambiare.
D. - Possiamo fare qualche esempio per capire effettivamente
di cosa parliamo quando parliamo di “riforme strutturali”?
R. - Quando parliamo
di “riforme strutturali” parliamo ad esempio di un forte abbattimento del così detto
“cuneo fiscale”, cioè della differenza tra quello che percepisce un lavoratore e quello
che costa all’azienda il lavoratore. Parliamo di una maggiore flessibilità - in entrata
ed anche in uscita - del lavoro, per cui l’azienda deve poter utilizzare al meglio
il lavoro e valorizzarlo, ma poi quando è in crisi, come in questa situazione, deve
poter rapidamente dimensionare la sua forza lavoro rispetto a ciò che è necessario
- identificando naturalmente delle forme di protezione per quei lavoratori che escono,
anche rapidamente, dall’attività produttiva e identificando dei meccanismi di ricollocazione
professionale per tali persone. È chiaro che c’è in questo caso un problema sociale
da gestire - e va gestito - ma piuttosto che investire centinaia di milioni in cassa
integrazione, io questi soldi li investirei trovando dei meccanismi di riposizionamento
dei lavoratori che vengono licenziati.
D . - Il mercato delle case bloccato
in Italia sembra facilmente comprensibile in fase di crisi, ma c’è altro da dire?
R.
- Il mercato delle case è bloccato perché il forte incremento della tassazione sulle
case ovviamente ne ha ridotto il valore e l’appetibilità. Questo è un altro grosso
problema che peraltro, dal punto di vista psicologico, fa sentire le persone meno
ricche - di fatto lo sono, perché il loro valore patrimoniale ha meno valore - quindi
questo si riflette inevitabilmente su questo pessimismo di fondo e su questa riduzione
dei consumi che è un altro grande problema. Anche qui il governo attuale sta ragionando
in maniera, secondo me, molto opportuna, con un ripensamento complessivo della tassazione
sulla casa, che riguarda ad esempio anche il tema degli affitti, il tema delle seconde
case e quant’altro. Questo è opportuno, ma va fatto in maniera rapida.