Siria: la questione delle armi chimiche al centro del colloquio Obama-Cameron
La drammatica situazione in Siria è stata al centro dell’incontro, ieri alla Casa
Bianca tra il presidente americano Obama e il premier britannico Cameron. A preoccupare
i due leader, soprattutto l’utilizzo di armi non convenzionali. Dagli Stati Uniti,
ci riferisce Elena Molinari:
Gli Stati Uniti
continuano a indagare sull’uso di armi chimiche in Siria e “da quello dipenderanno
i nostri prossimi passi”. Pur mantenendosi cauto su un possibile intervento in Siria,
Barack Obama ha ieri ribadito la “linea rossa” che potrebbe cambiare la posizione
Usa: l’uso di armi chimiche. Il presidente Usa ha anche concordato con il collega
britannico sulla necessità di "aumentare la pressione" per giungere alla deposizione
di Bashar Assad. Ben più esplicito il premier di Londra, che ha parlato di “prove
sempre più concrete” sull’uso di armi chimiche da parte del regime siriano e non ha
escluso azioni in riposta ciò che sta accadendo sul terreno. Ma Cameron vede “un’urgente
finestra di opportunita” in Siria anche sul fronte diplomatico, e ha espresso soddisfazione
per l’accordo tra Usa e Russia per rilanciare il processo negoziale di Ginevra. Ma
Obama ha ricordato che “non è un segreto che tra la Russia e il Paesi occidentali
del G8 resti una persistente diffidenza”.
Intanto in Siria si continua a morire;
anche ieri combattimenti e vittime in tutto il Paese. Intanto cresce la tensione con
la Turchia, dove l'attentato di sabato a Reyhanli, 48 morti, ha innescato la protesta
della popolazione locale, contro le decine di migliaia di profughi e disertori siriani
accolti dall'inizio della crisi. E anche sul fronte armi chimiche, Ankara sta giocando
un ruolo di primo piano. Il servizio è di Marina Calculli:
La Turchia sostiene
di avere in mano le prove dell'uso di armi chimiche da parte del regime di Assad.
Alcuni test sui feriti giunti in Turchia avrebbero fornito ad Ankara la prova incontrovertibile
di impiego di gas tossici. La morsa si stringe, dunque, sul rais siriano. Ankara intanto
punta il dito contro un gruppo neomarxista turco come responsabile dell’attentato
che pochi giorni fa ha ucciso a Reyhanli 46 persone. All’interno della Siria, un giornalista
tedesco Armin Wertz è stato invece arrestato dalle forze di sicurezza dopo essere
entrato illegalmente nel Paese, varcando la frontiere nord. Intanto l’intensità dei
combattimenti tra esercito e ribelli non accenna a calare, mentre l’Europa avverte:
tra pochi mesi la Comunità internazionale non potrà semplicemente più far fronte all’emergenza
umanitaria, che ogni giorno diventa più insostenibile. Bruxelles ha annunciato un
aiuto supplementare di 65 milioni di euro destinati ai rifugiati: la stessa cifra
si è proposta di raccogliere anche la Croce Rossa internazionale, facendo appello
ai suoi donatori.
E intanto la diplomazia internazionale sembra riuscita a
sbloccare l’impasse sulla Siria. Si moltiplicano, infatti, gli incontri ad alto livello:
venerdì il segretario generale dell’Onu, Ban Ki Moon, sarà a Mosca, dove incontrerà
il ministro degli Esteri Lavrov; oggi, invece, sempre nella capitale russa, importante
vertice tra il presidente Putin ed il premier israeliano Nethanyau. Benedetta Capelli
ne ha parlato con Alberto Rosselli, analista dell’area:
R. – E’ un vertice
importante. Israele confina con la Siria sul Golan e vede non bene questo stato di
fibrillazione del Paese che può scatenare anche dei particolarismi locali in funzione
anti-israeliana. Quindi, io credo che Putin parlerà con Netanyhau chiedendogli una
sorta di riflessione, nella speranza che anche a fronte di eventuali provocazioni
di gruppi siriani e anti-israeliani, Israele non reagisca in maniera eccesiva per
difendere la propria sovranità nazionale e soprattutto gli insediamenti dei coloni,
che stanno ai confini con la Siria nel nord di Israele.