2013-05-14 19:17:47

Il bilancio del crollo in Bangladesh: 1.127 morti e oltre 2.000 feriti


1.127 morti e oltre 2.000 feriti. E’ il tragico bilancio del crollo, il 24 aprile scorso a Dacca in Bangladesh, dello stabile “Rena Plaza”, che ospitava diverse aziende tessili. Ieri sono terminate le operazioni di soccorso mentre il governo apre la strada ad una maggiore rappresentanza sindacale. Il servizio di Debora Donnini:RealAudioMP3

Con 1.127 morti e 176 persone ancora disperse si chiude la vicenda dello stabile crollato a Dacca il 24 aprile. Nelle aziende tessili, locali e straniere, ospitate nell’edificio, lavoravano centinaia di persone in condizioni disumane. Intanto circa 300 aziende dell’area industriale di Ashulia hanno chiuso i battenti a tempo indeterminato a causa delle proteste dei dipendenti e il governo ha deciso che autorizzerà la creazione di nuovi sindacati per preservare i diritti dei lavoratori. Entro domani, poi, dovrebbe essere sottoscritto dalle imprese occidentali presenti nel paese il “Bangladesh Fire and Building Safety', che prevede alcune condizioni dettate dai sindacati: ispezioni indipendenti negli uffici, formazione dei lavoratori sui loro diritti e revisioni delle norme di sicurezza, che però al momento trovano lo scetticismo di alcuni brand statunitensi. Sì invece all’accordo sulla sicurezza sono arrivati da alcune aziende europee come Benetton, Inditex, Zara e Tchibo. Questo non è il primo incidente nel’industria tessile in Bangladesh, che rappresenta l’80% delle esportazioni nel paese grazie al bassissimo costo della manodopera, una delle peggio retribuite al mondo.

E sulla situazione, Giancarlo La Vella ha intervistato l’economista Riccardo Moro:RealAudioMP3

R. – Purtroppo, è un fatto noto da molti anni che le condizioni di vita in una parte rilevante del Sud del mondo, che rappresenta la stragrande maggioranza della popolazione mondiale, sono molto pesanti. E la cosa che va fatta notare è che queste dure condizioni di lavoro non sono indirizzate alla produzione di beni che vengono consumati in loco, ma che sono molto spesso consumati dal Nord del mondo, cioè da noi. In modo particolare, in questo caso del Bangladesh, quello che è capitato è stato un disastro in un’industria tessile, che lavorava per i marchi che noi conosciamo e che compriamo tutti i giorni, presenti in tutte le parti del mondo.

D. – Lo sviluppo di una coscienza sociale, anche sindacale, può portare ad un progresso in questo senso, ad un avvicinamento tra i parametri occidentali e quelli dei Paesi asiatici?

R. - Io credo che da un lato siano assolutamente necessarie attività che favoriscano l’irrobustimento del ruolo delle organizzazioni che operano per la tutela dei lavoratori. Dall’altro lato, occorre una nuova coscienza civile, sia da parte dei consumatori, sia da parte degli operatori economici, per garantire che i prodotti, che vengono venduti in giro per il mondo, abbiano una "storia" in cui le persone sono realmente rispettate. Da questo punto di vista, bisogna dire che proprio la vicenda del disastro sta effettivamente producendo qualche risultato positivo in Bangladesh. Insomma, dal disastro abbiamo di fronte a noi un esempio relativamente positivo di assunzione di responsabilità, anche se non basta.

D. - Quali ricadute sull’economia globale potrebbe avere il riconoscimento pieno o parziale dei diritti dei lavoratori asiatici, sia per quanto riguarda la sicurezza, sia per quanto riguarda il riconoscimento economico?

R. – Io credo ci sia stata una corsa a fornire ai consumatori del Nord del mondo prodotti a basso prezzo. Questa corsa è stata realizzata utilizzando impianti produttivi non sicuri nel Sud del mondo, cioè sfruttando le zone di povertà del pianeta, dove le persone sono disposte a lavorare anche a bassissimi compensi, sostanzialmente a essere sfruttate, addirittura mettendo a repentaglio la propria vita. Un irrobustimento delle tutele che determinano maggiori sicurezze, maggiori salari e maggiori costi, evidentemente determina una minore competitività di questi prodotti. Quanto durerà questo processo è assolutamente impossibile dirlo. L’augurio è che duri il meno possibile, perché questo significherebbe che nel più breve tempo possibile abbiamo garantito maggiori tutele a milioni di lavoratori.

Ultimo aggiornamento: 15 maggio







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