2013-05-13 15:24:44

Indagine sui Cie in Italia: strutture inefficaci e contro i diritti umani


In Italia, i Centri di identificazione ed espulsione (Cie) si devono chiudere perché contrari ai diritti umani e non efficaci nel contrastare l'immigrazione irregolare. E' quanto si sottolinea nell’indagine “Arcipelago Cie”, a cura dell’Associazione “Medici per i diritti umani”, presentata a Roma. Si tratta del primo studio realizzato da un’organizzazione indipendente attraverso visite sistematiche in tutte le strutture dopo il prolungamento, nel 2011, dei tempi di trattenimento fino a 18 mesi. Quali problematiche hanno denunciato, in particolare, gli stranieri trattenuti nei Centri? Amedeo Lomonaco lo ha chiesto a Marie Aude Tavoso, vicepresidente dell’Associazione “Medici per i diritti umani”:RealAudioMP3

R. – Lamentano violazioni dei diritti, impossibilità di comunicazione con l’esterno, la negazione del diritto alla difesa perché non hanno la possibilità di avere un avvocato o comunque un avvocato di loro scelta, impossibilità di conoscere i motivi e i tempi del trattenimento. Ma, come Associazione di medici, abbiamo potuto sentire diverse testimonianze di negazione del diritto alla salute, di persone nei Cie che sono malate e che non hanno accesso all’assistenza sanitaria.

D. – Esistono altri strumenti che sarebbero più efficaci, anche meno afflittivi per affrontare questo fenomeno?

R. – L’Italia ha scelto in modo discrezionale di adottare una posizione contraria ai principi che sono contenuti nella normativa europea, in particolare nella direttiva sui rimpatri. In questa direttiva, il trattenimento è l’ultima "ratio", deve essere residuale. Ci sono altre forme alternative che consentono di arrivare all’espulsione o comunque al controllo dell’immigrazione irregolare. In particolare, si può pensare – nel caso di una persona che debba essere rimpatriata – all’obbligo di dimora, a controlli settimanali presso le questure, a un sistema che si basi sul rimpatrio volontario e anche sul rimpatrio assistito. Questo sistema, invece, non viene rispettato in Italia e il principio diventa il trattenimento, anche in casi in cui se ne potrebbe fare a meno, anche con evidenti risparmi per la spesa pubblica.

D. – Una parte del Rapporto è anche dedicata alla situazione dei Centri di detenzione per migranti negli altri principali Paesi europei. Cosa emerge proprio dal confronto tra la situazione in Italia e quella in altri Paesi dell’Unione?

R. – L’Italia si è affacciata tardivamente a questo sistema: erano centri che esistevano già in altre parti d’Europa. La maggior parte degli Stati europei si sono dotati di queste strutture: si parla, credo, di 417 centri in tutta l’Unione Europea per 37 mila posti. L’Italia, però, si distingue per la severità del regime applicato: è uno dei Paesi che prevede il periodo massimo di trattenimento consentito dalla Direttiva – 18 mesi – che comunque in alcuni casi si deve sommare, nel nostro Paese, a una reclusione in carcere per soggiorno irregolare, ad esempio, o per un altro tipo di reato. E poi, tra tutti i sistemi sicuramente il sistema italiano è uno di quelli che garantisce meno diritti e meno servizi alle persone detenute in queste strutture.







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