2013-05-10 08:01:14

Elezioni generali domani in Pakistan. Rapito il figlio dell’ex premier Gilani


Pakistan alle urne domani per le elezioni generali, in un clima di forte tensione. Oltre 110 i morti nelle settimane di campagna elettorale, con una lunga serie di attentati, circa 70, sferrati dai Talebani. I combattenti islamici minacciano, inoltre, attacchi kamikaze durante le elezioni. Il servizio è di Salvatore Sabatino:RealAudioMP3

La campagna elettorale più sanguinosa di sempre in Pakistan, per le elezioni politiche più importanti; quelle definite da tutti un passaggio obbligato per imboccare definitivamente la strada della democrazia. Campagna elettorale insanguinata da un’ondata di attacchi senza precedenti - oltre 110 le vittime – causata dai Talebani. Ieri il colpo più grave: il rapimento di Ali Haider Gilani, figlio dell'ex premier e leader del Partito del popolo pachistano, avvenuto mentre era impegnato in un comizio; l’appuntamento è stato interrotto dall’irruzione armata di un commando, che ha ucciso 4 persone. Ma non è stato, questo, l’unico episodio di violenza della giornata: nella regione sud occidentale del Baluchistan, un uomo della sicurezza, è morto in un altro attacco armato contro un candidato politico. E già si guarda con preoccupazione a domani, quando le urne saranno aperte. Le autorità hanno preso molto sul serio le minacce di attacchi lanciate dai talebani, alzando tutti i livelli di sicurezza. Preoccupazione è stata espressa pure dal segretario generale dell’Onu, Ban Ki Moon.

Ma quanto è importante questa tornata elettorale per la tenuta del Paese a livello politico-istituzionale? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Massimo Campanini, docente di Storia dell’Islam contemporaneo presso l’Università di Trento:RealAudioMP3

R. – Secondo me, la tornata è fondamentale perché il Paese deve essere rifondato. Dai tempi di Musharraf, in realtà il Pakistan ha attraversato una fase di estrema instabilità. Quindi, c’è da sperare che le nuove elezioni possano dare al Paese quella stabilità che ha perduto. Naturalmente, le premesse non sono buone perché la scia di sangue sembra preludere a lotte e contrasti interni ancora più forti. Però, la speranza è quella che le nuove elezioni garantiscano una nuova stabilizzazione.

D. – Secondo lei, non si corre il rischio che le violenze mettano in secondo piano quello che è un passaggio importantissimo per la democratizzazione del Paese?

R. – Le violenze sono sempre in grado di mettere in difficoltà la democratizzazione, ma penso che all’interno del Paese ci siano delle forze che stanno lavorando positivamente per uscire da una situazione di stallo. Certamente, ci sono altri elementi della vita politica pakistana che preferirebbero una "balcanizzazione" del Pakistan e che vedrebbero favorevolmente una frantumazione religiosa lungo faglie etniche interne al Paese.

D. – Le tensioni che vive questo Paese sono indissolubilmente legate anche ai rapporti complessi con uno dei suoi vicini, l’Afghanistan, un legame da sempre pieno di criticità…

R. – È sempre stato pieno di criticità, perché da molti anni il Pakistan ha cercato di controllare l’Afghanistan. In realtà, l’Afghanistan ha costituito sempre una sorta di territorio di profondità strategica per quello che potremmo chiamare “l’espansionismo pakistano” e gli equilibri di potenza regionali che evidentemente coinvolgono anche l’India. Per cui, è evidente che il Pakistan abbia interesse a controllare l’Afghanistan. E dal punto di vista dei talebani – soprattutto delle forze più estremiste che operano all’interno dell’Afghanistan – c’è il tentativo, esattamente al contrario, di mettere in discussione il controllo pakistano sull’Afghanistan. Quindi, evidentemente i due interessi sono contrastanti e questo dà luogo oltre alle divisioni di tipo etnico, settario e religioso, a delle frizioni che sono molto pericolose.

D. – Insomma, crede che il Pakistan riuscirà a trovare la strada verso quella normalizzazione che lo accrediterebbe pienamente presso le cancellerie internazionali?

R. – La speranza è quella, perché l’area è molto delicata e ha bisogno di stabilizzazione. I processi democratici dovrebbero favorire potenzialmente questa stabilizzazione. L’importante è che le divisioni e le faglie di tipo etnico e religioso non compromettano quella che ormai sembra da molti anni – dalla caduta di Musharraf e dell’assassinio di Benazir Bhutto – una specie di transizione infinita.







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