Conferenza a Londra sulla Somalia. Mons. Bertin: servono più aiuti umanitari
Non è solo una questione somala, è in gioco la sicurezza del mondo intero. Così il
premier inglese Cameron parlando alla conferenza sulla Somalia che si è svolta ieri
a Londra sotto l’egida del governo britannico, e a cui hanno preso parte una cinquantina
di delegazioni. Per l’Italia presente il ministro degli esteri Emma Bonino. Il premier
britannico ha annunciato aiuti per milioni di sterline, con particolare attenzione
alle Forze armate di sicurezza somale e alla rete di telecomunicazioni, indispensabile
per la lotta contro la pirateria. Roberta Gisotti ha intervistato mons.
Giorgio Bertin, nunzio apostolico della Somalia e vescovo di Mogadiscio, residente
per motivi di sicurezza a Gibuti:
Tante le speranze
per la Somalia dopo le elezioni nel settembre scorso del presidente Hassan Sheikh
Mohamud e la formazione di un governo federale, riconosciuto dalla comunità internazionale.
Proseguono, tuttavia, gli attentati terroristici dei ribelli islamici Shabaab, legati
ad al Qaeda. Gli osservatori evidenziano aspetti positivi su cui costruire il futuro
democratico della Somalia e aspetti ancora oscuri da valutare a Londra. Mons. Bertin:
R.
– L’ombra più importante è costituita da questa opposizione armata e dal concetto
di federalismo che probabilmente o non è chiaro oppure trova difficoltà ad essere
messo in pratica. Rimangono dei punti da studiare meglio, in questa occasione, per
potere dare una risposta più appropriata alla situazione attuale della Somalia.
D.
– Anche negli ultimi giorni ci sono stati attacchi terroristici: come potrà il governo
in carica, il presidente attuale, fronteggiare questa situazione?
R. – Quello
che ho notato durante i miei due recenti viaggi del mese di aprile a Mogadiscio è,
appunto, questa situazione delle istituzioni nuove, riconosciute ed accettate dalla
comunità internazionale ma che sul posto ancora stentano ad essere riconosciute, ad
essere accettate, probabilmente anche perché i somali si sono abituati da 22 anni
a vivere senza istituzioni statali. Allora direi che questa difficoltà è ben presente.
La questione degli attacchi di questi ultimi due mesi è una riprova della difficoltà
oggettiva che le nuove istituzioni, che il nuovo Stato deve affrontare. Io spesso
dico che è un inizio tutto in salita per le nuove istituzioni, e allora io non dispererei.
Mi dispiace per quelli che hanno perso la vita e che perderanno ancora la vita per
questa opposizione che c’è, però è questo il cammino da proseguire.
D. – Può
essere importante in questo momento sostenere con aiuti umanitari la Somalia, dove
la popolazione – oltre ad aver vissuto, appunto, oltre 20 anni di anarchia – ha sofferto
molte crisi di carestia?
R. – Sì! Certamente l’azione umanitaria è assolutamente
necessaria, anche perché le nuove istituzioni, il nuovo governo incominciano con le
"tasche vuote". Il consiglio che io darei è quello di cercare di favorire le istituzioni
governative a prendere esse stesse in mano qualche azione a carattere sociale, perché
per il momento ci sono diverse agenzie dell’Onu, organizzazioni umanitarie internazionali,
Ong locali che operano per dare tutta la risposta al dramma umanitario. Ecco, quello
che io mi aspetterei è che la comunità internazionale sostenga e incoraggi il governo
a prendere in mano anche lui qualche azione umanitaria, pur sapendo che la priorità
è quella della sicurezza.