Settimana Onu della sicurezza stradale: 270 mila morti all'anno per incidenti
Al via oggi la seconda Settimana mondiale della Sicurezza stradale indetta dalle Nazioni
Unite, quest’anno dedicata alla sicurezza dei pedoni. Nel programma “Decennio della
sicurezza stradale 2011-2020”, l’obiettivo dichiarato dell’Onu è quello di ridurre
sensibilmente il numero degli incidenti e salvare almeno 5 milioni di vite umane attraverso
legislazioni corrette e una crescente sensibilizzazione su questo tema. Ad oggi, solo
28 nazioni vantano norme stringenti sulla sicurezza stradale. Secondo recenti dati,
nel mondo una persona su quattro che muore negli incidenti stradali è un pedone. Si
tratta di circa 270 mila vittime e di oltre 50 milioni di feriti: numeri impressionanti
che evidenziano una vera e propria emergenza sociale. Benedetta Capelli ne
ha parlato con Umberto Guidoni, vicepresidente di Ania, Fondazione per la sicurezza
stradale:
R. - La sicurezza
stradale fa registrare sulle strade del mondo, su quelle europee e su quelle italiane
purtroppo dei dati che sono agghiaccianti e che fanno degli incidenti stradali una
delle prime cause di morte per la popolazione mondiale e sicuramente la prima causa
di morte per la popolazione giovanile. Il dato è ancora più grave per il fatto che
le morti riguardano i pedoni. In modo particolare, in Italia, abbiamo registrato 589
persone morte mentre attraversavano la strada. Questo indica sicuramente una scarsa
attenzione nei confronti di quelli che sono gli utenti più vulnerabili della strada
perché non hanno alcun tipo di protezione. Dall’altra parte, c’è un’inciviltà profondamente
radicata. In Italia, un terzo dei pedoni morti, muore mentre attraversa la strada
sulle strisce pedonali.
D. - Eppure ci sono Paesi in Europa dove invece le
strisce pedonali sono considerate un territorio blindato…
R. - Nel Nord Europa
sicuramente c’è un atteggiamento completamente diverso anche da parte delle istituzioni
che gestiscono, dal punto di vista infrastrutturale, le strisce pedonali in modo molto
attento. Le rendono molto più visibili, creano degli avvallamenti che inducono l’automobilista
a rallentare o creano tutta una serie di preavvisi soprattutto laddove l’attraversamento
è pericoloso in modo tale che l’automobilista sia preavvertito dell’approssimarsi
di un attraversamento pedonale.
D. - Bisogna parlare di una mancanza di cultura.
E allora cosa chiedere alle istituzioni per sensibilizzare su questo tema?
R.
- Innanzi tutto dovremmo chiedere a noi stessi di avere un atteggiamento più rispettoso
delle regole della strada. Sulla strada si muore! Vanno rispettati soprattutto gli
utenti più vulnerabili quindi i pedoni, i ciclisti, i motociclisti. Dal punto di vista
istituzionale c’è sicuramente un’esigenza di interventi infrastrutturali affinché
gli attraversamenti pedonali possano essere resi più visibili e possano essere resi
più sicuri. Dall’altra parte, sicuramente si possono fare, come è accaduto in Nord
Europa, degli interventi. Ad esempio, nelle aree urbane dove c’è un’alta intensità
di pedoni si potrebbero istituire quelle che vengono definite “le aree trenta”, dove
c’è un obbligo del limite di velocità di 30 km orari. Sicuramente la velocità ridotta
è un fattore importante perché a 30 km orari se un pedone viene investito probabilmente
avrà delle conseguenze, ma non muore; già a 50 km orari il rischio di morire è molto
più elevato.
D. - I pedoni sono quindi le persone maggiormente vulnerabili.
Dall’altra parte spesso ci sono dei pirati senza volto. Anche su questo fronte bisogna
lavorare e fare tanto…
R. - Ci sono dei dati allarmanti. Nella maggior parte
dei casi si tratta di conducenti che probabilmente si spaventano per l’incidente che
hanno provocato, soprattutto perché stanno commettendo un reato nel reato: probabilmente
sono ubriachi, drogati e hanno paura che poi le forze dell’ordine possano infliggere
delle sanzioni pesanti. Però, sicuramente anche questo è un fenomeno culturale. Noi
abbiamo cercato di studiarlo in altri Paesi, dove è presente ma non in maniera così
diffusa come in Italia.
D. - Qual è l’impegno per questa settimana che ci accingiamo
a vivere da parte dell’Ania, la Fondazione per la sicurezza stradale?
R. -
Devo dire che il nostro è un impegno per 365 giorni l’anno. Bisogna avere il coraggio
di diffondere sempre di più i dati, far capire che tra questi dati ci sono delle vite
umane che si perdono, far capire che negli ultimi dieci anni ci sono stati miglioramenti
significativi ma che comunque abbiamo perso 50 mila persone di cui un terzo non arrivava
a 30 anni! E attraverso quest’opera, auspicare che ci sia un po’ di cambiamento culturale
e un approccio diverso al rispetto delle regole. Ogni giorno vediamo delle scene abbastanza
agghiaccianti sulle strade. Il consiglio principale che posso dare è che quando ci
si mette alla guida, bisogna rendersi conto che la macchina, l’autoveicolo o qualsiasi
altro mezzo di locomozione può diventare un’arma. Bisogna trattarla con tutte le accortezze
del caso. Bisogna unicamente fare attenzione a guidare e rispettare le regole che
la strada impone. Con questi due piccoli accorgimenti, siamo estremamente convinti
che c’è la possibilità di abbattere in maniera seria la gravità dell’incidente.