Cresce l'occupazione negli Usa e da Bruxelles si chiede meno rigore
Dopo i dati positivi sull’occupazione negli Stati Uniti, l’Europa conferma un trend
negativo su crescita e lavoro, ma arrivano segnali di allentamento del rigore. La
Commissione Europea ha infatti concesso due anni in più a Francia e Spagna per portare
il deficit sotto il 3%, mentre Olanda e Slovenia potrebbero ottenere un anno aggiuntivo.
Il commissario europeo all’economia, Olli Rehn, sottolinea che la crisi, da finanziaria,
si è trasformata soprattutto in crisi del lavoro e spiega che “bisogna fare tutto
il possibile” per uscirne. Fausta Speranza ha intervistato il prof.Leonardo Becchetti, docente di economia politica all’Università Tor Vergata
di Roma:
R. - La Commissione
europea e la Bce si stanno spostando da un approccio di rigore, che ha creato molti
danni in questi ultimi anni, ad una politica più simile a quella della Federal Reserve
americana, che - come sappiamo - ha deciso che, in questo momento, l’inflazione non
è un problema ed ha messo al centro una politica piuttosto aggressiva di lotta alla
disoccupazione attraverso un aumento dell’offerta di moneta. Questo è forse quello
che dovremmo fare. Purtroppo stiamo andando molto lentamente.
D. - Però è una
tappa, un segnale…
R. - Senz’altro! Però bisogna sperare che tutto questo proceda
più velocemente, perché intanto in Europa la disoccupazione sta aumentando. L’effetto
negativo del rigore è evidente ed ha prodotto un crollo della domanda interna e quindi
un rallentamento della crescita ed una recessione non solo nei Paesi del Sud Europa,
ma persino nei Paesi del Nord Europa. Tutto questo invece di migliorare gli indicatori
di bilancio del rapporto debito–Pil, li ha peggiorati, proprio perché la riduzione
del denominatore ha finito per vanificare anche quel tentativo di riduzione di spesa
che doveva ridurre il debito.
D. - C’è stata euforia sulle Borse europee per
i dati migliori della disoccupazione negli Stati Uniti. Ma ci possono essere effetti
positivi a breve anche in Europa?
R. - Penso che l’euforia dipenda dal fatto
che gli operatori scommettono sull’ipotesi che prima o poi la Banca centrale europea
- l’Europa - vada nella direzione degli Stati Uniti, e quindi assuma delle politiche
più coraggiose e più aggressive, proprio perché le politiche macroeconomiche americane
stanno avendo effetti positivi sia sulla crescita che sulla riduzione della disoccupazione.
La speranza è questa.
D. - Ci si chiede se Francia e Spagna siano state, in
questo momento, aiutate soprattutto perché la Francia è un colosso dell’Unione Europea.
È così oppure è dipeso dal momento?
R. - Le politiche dipendono un po' anche
dal livello del debito. Per esempio in Italia è un po’ più alto, siamo oltre il 130%,
mentre Francia e Spagna sono vicine al 100%. Non sono differenze enormi, però sono
differenze che possono contare e che possono determinare anche una differenza di approccio.
Alcune volte però, è chiaro che queste differenze di approccio dipendono anche dal
peso politico dei Paesi. Si tratta quindi di un insieme di fattori. È importante che
il nuovo governo italiano sia andato subito a Bruxelles per cercare, appunto, di negoziare
una condizione diversa di rientro dalla crisi.
D. – Ma, in definitiva, la Francia
viene trattata diversamente da come è stata tratta la Grecia fino a qui, o no?
R.
- Tutte e due le cose. Da una parte sicuramente i fondamentali della Francia sono
di gran lunga migliori, quindi avere più indulgenza nei suoi confronti ha senso anche
da un punto di vista economico. Dall’altra parte, è chiaro, che conta il peso politico
del Paese.
D. - Come favorire la crescita e nello stesso tempo però tutelare
almeno alcuni elementi basici del welfare europeo?
R. - La Banca centrale europea
dovrebbe stampare molta più moneta, non semplicemente per darla alle banche per rifinanziarsi
- perché poi sappiamo che le banche in questo momento hanno grandi problemi di bilancio
e quindi userebbero queste risorse per ricostruire le proprie riserve e comunque non
possono estendere molto i prestiti – ma invece bisogna iniettare moneta direttamente
nel sistema. Questo farebbe ripartire la domanda, farebbe ripartire la crescita e
poi darebbe risorse al welfare. La strada di esagerare con il rigore è stata sconfessata
in Italia ad esempio sia da evidenze empiriche, sia dalla storia recente dei dati
del nostro Pil, che quest’anno ha perso quattro punti percentuali grazie al crollo
della domanda interna. Quindi questo tipo di politica si è rivelata molto inefficace,
sia per far ripartire la crescita, sia per rimettere a posto il rapporto tra debito
e Pil.