Siria, l'opposizione: 150 massacrati a Bayda. Testimonianza dai rifugiati in Giordania
Sono almeno 150 i morti nel "massacro su larga scala" di civili perpetrato lunedì
scorso dalle forze del regime siriano a Bayda, nella provincia occidentale di Tartus:
a denunciarlo è la Coalizione nazionale siriana, principale cartello delle forze di
opposizione. L'eccidio è stato compiuto dalle forze regolari con il sostegno degli
“shabbiha”, i miliziani alleati del regime, nel villaggio costiero sunnita. La notizia
è una delle tante che ogni giorno rendono più cruento il resoconto della crisi in
Siria, come ogni giorno più duro dievnta il drmma dei profughi. L’Ospedale italiano
di Karak, in Giordania, offre rifugio ai siriani che scappano dalla guerra e dai campi
profughi al confine. Fondato nel 1939, questo ospedale cattolico, sostenuto dalla
"Catholic Near East Welfare Association", speciale agenzia vaticana per l’aiuto alle
Chiese cattoliche e alle popolazioni del Medio Oriente, è l’unica clinica attrezzata
della regione e rappresenta il punto di riferimento per la parte meridionale della
Giordania. Racconta il dramma di chi è in fuga suor Adele Brambilla, religiosa
comboniana, al microfono di Elisa Sartarelli:
R. – Il grande
flusso dei siriani è notevolmente aumentato e adesso è diventato un’emergenza. L’Onu
dice che c’è stato un grande flusso nelle ultime settimane, maggiore di quello che
avevano previsto qui per la Giordania. Si parla già di 100 mila rifugiati.
D.
– Com’è la situazione nei campi profughi?
R. – La situazione nei campi sta
diventando tragica e le agenzie assistenziali, come l’Onu e tutte le altre agenzie
– Save the Children Fund, Medecin sans frontieres – parlano anche di mancanza di cose
necessarie come docce, toilette e spazio per i bambini. Anche in Amman si vedono per
le strade numerosi bambini, c’è l’accattonaggio, perché ci sono bambini che purtroppo
a causa di questa guerra sono stati abbandonati a sé e c’è il rischio che vengano
aperti anche altri campi: i rifugiati dicono che sono già il 10% della popolazione
giordana e i profughi hanno già superato il mezzo milione. La gente nei campi profughi
vive in grande precarietà, l’inverno è stato freddo e adesso arriva il caldo. Le agenzie
umanitarie dicono che fra poco faranno fatica a provvedere ai rifornimenti d’acqua,
igienico-sanitari e all’assistenza medica. Proprio per il grande sovraffollamento,
alcuni gruppi di rifugiati sono arrivati al sud: qui nella nostra provincia di Kerak
sono arrivate diverse famiglie e il nostro ospedale ha aperto le sue porte. Ogni giorno
arrivano in media dai quattro ai dieci rifugiati che cercano soprattutto assistenza
per bambini e donne in gravidanza. Abbiamo avuto diverse mamme che sono scappate dalla
Siria per venire a partorire in una situazione più sicura. Qui nel Sud alcune hanno
trovato dei piccoli appartamenti, ma magari in un appartamento di tre stanze ci sono
tre famiglie che vivono insieme. Noi collaboriamo con la Caritas giordana e diamo
l’assistenza di emergenza soprattutto a donne e bambini: adesso stanno arrivando i
bambini soprattutto con febbre alta, gastroenteriti, broncopolmoniti, oppure varie
infezioni dovute anche alla situazione di grande precarietà che c’è.
D. – La
situazione è tragica, il numero di profughi siriani in Giordania continua ad aumentare.
Questo ha portato anche a proteste sociali?
R. – La gente ha avuto delle reazioni
– l’abbiamo letto sui giornali – ma qui si sente molto poco perché siamo al sud. Ci
sono state delle reazioni perché qui c’è carenza d’acqua, carenza di tante cose, quindi
la gente si sente investita di un peso che forse non può neanche portare. Abbiamo
sentito che in giro ci sono state proteste, ma generalmente la gente è accogliente:
abbiamo visto anche qui nei villaggi che sono stati accolti tutti quelli in arrivo.
Anche noi, i nostri medici, i nostri infermieri, collaboriamo in pieno a questa missione
di accoglienza e di cura. Possiamo dire che non abbiamo sentito internamente, qui
da noi, una ribellione. Ci sono però domande perché la gente si interroga su come
tutto questo andrà a finire.