Pakistan: ucciso il procuratore che indagava sull'omicidio di Benazir Bhutto
Pakistan nel caos: Chaudhry Zulfiqar, procuratore capo nel processo per l'omicidio,
nel 2007, dell'ex premier e allora capo dell'opposizione Benazir Bhutto, è stato assassinato
di primo mattino nel centro di Islamabad. Si tratta della 70.ma vittima di una lunga
serie di attentati – oltre 40 – che hanno insanguinato la campagna elettorale in corso,
in vista del voto dell'11 maggio. Elezioni, dunque, che rischiano di mettere ulteriormente
in ginocchio un Paese già piagato dalle violenze e dalle divisioni interne. Salvatore
Sabatino ne ha parlato con Elisa Giunchi, docente di Storia e Istituzioni
dei Paesi Islamici presso l’Università Statale di Milano:
R. - Questa
è la campagna elettorale più sanguinosa della storia pachistana e questo proprio in
una campagna elettorale che si appresta, per la prima volta nella storia del Pakistan,
a vedere un governo eletto democraticamente finire il suo mandato. Sarebbe anche questa
la prima volta nella storia del Paese. Quindi è un momento molto particolare che potrebbe
segnare il consolidamento del sistema democratico, almeno a livello procedurale, o
al contrario il suo stravolgimento in una situazione di semi-implosione del Paese.
D. - Il procuratore ucciso, stamattina, sosteneva la pubblica accusa nei confronti
dell’ex presidente Musharraf. Nonostante le ultime vicende politiche e giudizarie,
Musharraf può essere considerato ancora una personalità forte?
R. - Non credo,
perché - al di là di quello che succederà sul piano giudiziario - non sembra che sia
una figura molto popolare nel Paese, addirittura all’interno delle stesse forze armate.
Quindi, anche se fosse libero di partecipare alle elezioni e non avesse problemi giudiziari,
non credo che attirerebbe molti voti.
D. - I talebani hanno prima minacciato
e poi messo in atto una campagna di attentati contro i partiti laici, considerati
anti-islamici. Tutto questo, ovviamente, alza ulteriormente la tensione…
R.
- Sì, anche perché tanti attentati sono avvenuti in province in cui vi sono i partiti
- appunto l’Mqm, la Np, il partito popolare pachistano - che hanno invece accusato
il partito di Noor Sharif di non essere sufficientemente sensibile ai loro problemi
e a questi attacchi. La situazione è estremamente grave, perché nel Paese si sommano
tensioni di varia natura: quindi sicuramente c’è anche un coinvolgimento esterno di
natura afghana, nel senso che la linea di confine è sempre rimasta porosa e quindi
c’è un passaggio continuo di militanti, che potrebbero anche provenire dall’Afghanistan,
ma che con ogni probabilità sono di nazionalità pachistana. Poi vi sono, forse, interferenze
esterne anche di altro tipo, perché il finanziamento di queste forze estremiste viene
anche dall’esterno del sub-continente della regione in senso stretto; poi ci sono
tensioni etniche che il Paese si porta da quando è nato, dal 1947, e che sono legati
a disequilibri etnici nelle istituzioni dello Stato e al disequilibrio all’interno
delle forze armate. Quindi una situazione veramente molto complessa.
D. -
Il Pakistan nonostante tutto è un Paese strategico dal punto di vista internazionale
per il mantenimento degli equilibri in tutta l’area. Come mai, secondo lei, la comunità
internazionale non riesce a contenere tutte queste tensioni e queste violenze?
R.
- Proprio perché l’origine delle violenze è in parte interna - disequilibri etnici
nelle istituzioni, a cui facevo riferimento prima - e quindi la comunità internazionale
può fare poco su questi aspetti decisionali, che riguardano degli elementi di politica
- diciamo - quasi dinastica che caratterizzano il panorama politico pachistano.