A Urbino il primo Festival del Giornalismo culturale
Al via oggi a Urbino il primo Festival del giornalismo culturale. Due giorni di lectio,
dibattiti e confronti in cui giornalisti, scrittori e accademici saranno chiamati
a discutere di informazione e cultura. L’evento è curato dal Dipartimento di scienze
della comunicazione e discipline umanistiche dell’Università di Urbino "Carlo Bo".
Salvatore Sabatino ne ha parlato con Lella Mazzoli, direttore del Dipartimento,
nonché direttore della scuola di Giornalismo di Urbino:
R. – E’ la prima
volta che tanti giornalisti che fanno cultura, che promuovono la cultura nel nostro
Paese – e non solo nel nostro Paese, perché ci saranno anche gli stranieri – discutono
di come sarà l’informazione culturale nel presente, ma anche nel futuro.
D.
– Numerosi saranno gli ospiti, così come numerosi saranno gli argomenti affrontati
durante questo Festival, con un’attenzione particolare alle nuove tecnologie…
R.
– Sì, perché ormai lo sappiamo: dobbiamo fare i conti con una trasformazione di un’informazione
che passa sempre più per la carta stampata, o per quello che io chiamo il main
stream – radio e televisione – verso un contenitore che è sempre più forte: il
web. La questione che noi ci poniamo, in questi dibattiti, è se c’è questa evoluzione,
questo passaggio dal main stream al web anche per l’informazione culturale.
Noi, per esempio, ci accorgiamo che molto spesso le persone vanno a cercare informazioni
sugli scrittori e le loro opere, ma anche sul dibattito culturale vero e proprio,
e vanno a cercarle nella rete. Ora, vorremmo sapere da questi professionisti dell’informazione
culturale se ciò è vero e se ciò produce qualche trasformazione, nel modo di informarsi
ma anche nel modo di formare la nostra struttura culturale.
D. – Verrà analizzato
anche il rapporto tra il giornalismo culturale italiano e quello internazionale. Come
si può definire questa relazione?
R. – Noi abbiamo dedicato uno spazio con
un titolo curioso, “Cosa succede al di là delle Alpi?”, invitando i giornalisti delle
testate internazionali più prestigiose – come “Le Monde” o “El País” o “El Mundo”
– per chiedere loro se questa evoluzione che noi vediamo nel nostro Paese è presente
anche da loro, ma soprattutto per capire come loro raccontano il nostro Paese – la
cultura del nostro Paese – dalle loro terre. C’è un’interazione tra mondi altri rispetto
alla nostra terra Italia? E che tipo di relazione c’è? Raccontiamo la cultura allo
stesso modo o Oltralpe la cultura ha uno spazio diverso, una connotazione diversa?
Questo è un quesito che in uno dei nostri panel verrà, mi auguro, sviscerato davvero.
D.
– In un Paese come l’Itali,a che è la culla della cultura – pensiamo solo all’arte,
alla letteratura – può il giornalismo culturale far ripartire il Paese creando un
circolo virtuoso tra cultura e crescita economica?
R. – Assolutamente si. Questo
davvero è il mio obiettivo. Tant’è che, curiosamente, assieme a Giorgio Zanchini,
che è con me direttore del Festival – ma anche nel confronto con Piero Dorfles nel
periodo in cui abbiamo organizzato il Festival – abbiamo inventato un Premio, già
assegnato a dei giovani giornalisti e a ragazzi delle scuole, dal titolo “Con la cultura
si mangia”. Non volevamo soltanto dire che anche il cibo è cultura, perché noi non
vogliamo parlare soltanto della cultura accademica, ma delle culture, se io potessi
usare un termine al plurale. Perché la cultura si mangia? Si mangia perché produce
economia. In tanti Paesi questo l’hanno capito. In Italia, ho la sensazione che questo
sia un po’ lontano a venire.
D. – In epoca di tagli, il settore culturale
è stato fortemente penalizzato nel nostro Paese. Da cosa si può ripartire?
R.
– Si dovrebbe partire con una riflessione sul fatto culturale e sulla produzione industriale
legata alla cultura. Non è un caso che noi abbiamo invitato Giuseppe Roma, direttore
del Censis, che dovrebbe raccontarci proprio dell’industria culturale, intesa anche
come strumento per produrre economia. Io credo che questo sia il nostro leit-motiv,
nel senso che non possiamo pensare che la cultura rimanga ancorata alle accademie,
a quei luoghi paludati dove si discute ma dove non si riesce a fare emergere strategie
economiche vere e proprie. Dobbiamo sempre di più aprire l’accademia al mondo della
produzione, perché solo quello produce davvero cultura e produce davvero benessere
per un Paese.
D. – Un invito a chi volesse venire ad Urbino?
R. – Vi
aspettiamo davvero tutti in questi spazi meravigliosi di una città che di per sé è
la culla della cultura e che per tanti versi potrebbe essere il punto di avvio di
una produzione economica a partire proprio dalla cultura.