La precarietà del lavoro non deve essere normalità: così mons. Bregantini nel giorno
dedicato ai lavoratori
Tante le iniziative anche in Italia per la Festa del 1° Maggio. Come da tradizione
ieri mattina il presidente della Repubblica Napolitano, ha deposto una corona di fiori
davanti al monumento romano che ricorda i caduti sul lavoro e ribadito che la ricorrenza
odierna deve essere in primo luogo il giorno dell’impegno per l’occupazione. Un forte
appello è arrivato dal ministro del Welfare Giovannini e dai presidenti di Senato
e Camera: “l’emergenza lavoro – ha detto la Boldrini– trasforma le vittime in carnefici.
Servono risposte concrete e tempestive”. A Perugia si è svolta la manifestazione
nazionale con i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil. Una questione scottante quella
del lavoro, che preoccupa molto anche la Chiesa. Antonella Palermo ne ha parlato
con mons. Giancarlo Maria Bregantini, arcivescovo di Campobasso-Bojano.
R. - Credo che
dalla base stanno nascendo una serie di iniziative, di proposte che la politica -
sollecitata dai drammi sociali - diventerà più capace di cogliere. L’umiltà in questo
momento mi pare che sia un tono che la politica sta avendo: non più pensare di saper
tutto, ma chiedere alla gente una serie di consigli partecipativi. C’è questa voglia
di ascolto e per il 1° maggio è una riflessione propositiva.
D. - Il premier
Enrico Letta al suo discorso programmatico ha detto che il lavoro è la priorità del
nuovo governo. Ci sono effettivamente i propositi per lavorare bene nel prossimo futuro?
R.
- Io credo di sì. Sono molto fiduciosi, i volti sono nuovi, la svolta di consapevolezza
è matura e siamo davanti ad una nuova fase che ci rende più responsabili e anche più
operativi.
D. - Letta ha detto: “Ampliamo gli incentivi fiscali a chi investe
in innovazione, garantiamo il pagamento alle imprese e diamo più opportunità ai giovani”…
R.
- Sono proposte molto sagge. Bisogna fare per questi propositi una scaletta operativa,
propositiva che credo vada appoggiata anche dalla base, cioè un po’ da tutti noi.
Questo è il punto nodale: fare in modo che queste proposte non restino accademiche,
ma siano operative.
D. - Partendo proprio dai giovani…
R. - Certo. Innanzitutto,
dare a loro la consapevolezza di essere molto guardati, ascoltati, capiti, quindi
accompagnati. Cada quell’immagine di fatalismo che ha accompagnato questi mesi recenti,
dove la precarietà ormai è vista come una normale condizione. Personalmente partirei
dal mondo rurale, perché si dà a loro la possibilità di rendere le aziende capaci
di intraprendere; le aziende che intervengono producono cose indispensabili. Seconda
cosa: il mondo rurale conserva un territorio ed il territorio conserva l’ambiente
che si fa fonte di turismo. I giovani stanno riscoprendo queste esperienze. Poi le
cose che ha detto Letta riguardanti il pagamento delle imprese, il sostegno, le banche
meno rigide e più solidali, più progettuali e soprattutto l’atteggiamento culturale:
la banca deve sentire questo mondo nuovo che sta nascendo con fatica e che l’ambiente
possa diventare il primo valore, le tante “Ilva” da risanare potrebbero essere veramente
un’immagine di futuro. Anche sostenere la rete delle cooperative: in Italia in questo
momento le zone che hanno più cooperative - anche se piccole - reggono, perché sono
a rete. Gli immigrati sono una grande risorsa, non dobbiamo vederli come concorrenziali
ma come imprenditori. Chiudo con l’idea di due proposte finali: favorire il lavoro
nel pianeta carcere - sia interno che esterno - ed il lavoro dei docenti nelle scuole
a tempo pieno e nelle scuole medie.
D. - Quando ha appreso la notizia della
sparatoria davanti Palazzo Chigi, cosa ha pensato?
R. - Mi ha particolarmente
colpito perché la persona che ha aperto il fuoco viene da Rosarno, terra segnata da
grandi drammi sociali e dall’insidia potentissima della mafia…
D. - Che lei
conosce bene…
R. - Certo. Bisogna che la politica - specialmente certe frange
- usino con saggezza certi atteggiamenti, altrimenti la gente si esaspera. Per cui:
accompagnare il disagio dei giovani, ma anche dei cinquantenni che stanno perdendo
il lavoro e che non si devono sentire soli; tanto meno gli imprenditori che rischiano
il suicidio. Ci aiuti San Giuseppe che ha dato dignità al lavoro di Gesù, che ha dato
e reso santo il sudore dell’operaio. Sono queste immagini bellissime che ci hanno
formato e che possono essere di grande valore anche ora.