Terra Santa. Mons. Shomali: no al muro di Cremisan
Il Patriarcato Latino di Gerusalemme è "sorpreso" e "preoccupato" dal verdetto della
Commissione Speciale d'appello israeliana che di recente ha approvato la costruzione
del muro di separazione sulle terre della Valle di Cremisan. Tale decisione - riporta
l'agenzia AsiaNews - creerà difficoltà alla popolazione all'educazione dei giovani.
A Cremisan sorgono due conventi salesiani, uno maschile e uno femminile, scuole, formazione
agricola ed aiuto agli abitanti del villaggio cristiano di Beit Jala all'interno dei
Territori palestinesi. Con la costruzione del muro, il convento delle religiose si
troverà sul lato palestinese, circondando su tre lati l'edificio e la scuola primaria
annessa, lasciando in territorio israeliano la maggior parte delle terre che servono
all'apprendimento di tecniche agricole. In più, la separazione del territorio, costringerà
oltre 450 giovani palestinesi a frequentare un istituto dall'aspetto di una prigione
e circondato da posti di blocco militari. Intervistato da AsiaNews, mons. Shomali,
vescovo ausiliare di Gerusalemme, sottolinea che le ragioni a favore della costruzione
del muro sono deboli e imprecise. "La sicurezza di Israele - afferma il prelato -
può essere garantita anche allontanando il muro o trovando soluzioni alternative".
"Inoltre - aggiunge - per le autorità il percorso non si può modificare perché il
muro è già stato completato". In attesa del verdetto, infatti, il governo israeliano
aveva continuato la costruzione della recinzione lasciando vuoti gli 1,5 km che passano
nella proprietà dei salesiani. Mons. Shomali sostiene che in questo modo Israele fa
valere un nuovo diritto, violando le stesse leggi israeliane. "Per cambiare la decisione
- dichiara il vescovo - il Patriarcato, la comunità salesiana di Cremisan e gli abitanti
cristiani di Beit Jala hanno sempre utilizzato mezzi moderati e non violenti, compresa
la preghiera. Lo Stato di Israele deve riconoscere tale comportamento pacifico". Approvata
lo scorso 24 aprile, la soluzione rappresenta il punto d'arrivo di una battaglia legale
in corso da sette anni. Per le autorità israeliane il tracciato alternativo rappresenta
un compromesso ragionevole tra le esigenze di sicurezza di Israele e le istanze della
libertà di religione e di educazione a cui avevano fatto appello i rappresentanti
legali del convento. Lo scorso 26 aprile, la St. Yves Society, organizzazione cattolica
per i diritti umani ed estensore di una causa legale anche a nome dell'Assemblea dei
vescovi catolici di Terra Santa, ha diffuso un comunicato in cui ribadisce "l'ingiustizia
del provvedimento". (R.P.)