Italia, povertà in crescita. "Actionaid": istituzioni rendano trasparenti i rapporti
con i cittadini
L’11% delle famiglie italiane, corrispondenti a otto milioni di persone è in condizione
di povertà relativa, mentre il 5%, pari a quasi tre milioni di persone, è ormai povera
invece in termini assoluti. Gli ultimi dati diffusi dall’Istat delineano un quadro
brutale, impietoso dello scenario del malessere sociale italiano. E’ di questi temi
che si è discusso nel corso della recente Conferenza organizzata a Roma da “Actionaid”,
organizzazione umanitaria da sempre impegnata nella lotta alla povertà e all’esclusione
sociale, in collaborazione con l’Associazione della Stampa romana e col parlamento
europeo. Gea Finelli ha chiesto a Marco De Ponte, segretario generale
di Actionaid, qual sia la ricetta da loro proposta per fronteggiare questa situazione:
R. – E’ una
crisi che va inquadrata nell’ambito europeo e i dati dimostrano che esistono situazioni
di sempre maggiore approfondimento, allargamento, delle situazioni di povertà. Le
persone che entrano ed escono da situazioni di disagio sociale sono di più e stanno
in queste situazioni per periodi più lunghi. La ricetta di Actionaid è molto semplice:
noi riteniamo che non ci sia soluzione veramente profonda se non si garantisca una
rinnovata "accountability" tra le istituzioni e i cittadini.
D. – Voi usate
questo termine sconosciuto a molti “accountability”: qual è il suo significato?
R.
– E’ un termine inglese, ormai usato internazionalmente, e letteralmente vuol dire
la capacità di dare conto: cioè, implica il pianificare le cose da fare, pianificarle
insieme, attraverso una partecipazione e poi dar conto dei risultati ottenuti e non
ottenuti per eventualmente riprogrammare. E’ un concetto che comprende tutta quella
che dovrebbe essere la dinamica tra istituzioni e cittadini, sia a livello micro,
nel villaggio, sia a livello nazionale tra Paesi e anche istituzioni nazionali.
D.
– In pratica, le istituzioni devono diventare la "casa degli ultimi", citando le parole
della presidente della Camera, Laura Boldrini?
R. – E’ un auspicio, perché
poi diventino la casa degli ultimi. Perché poi diventino la casa degli ultimi bisogna
che gli ultimi abbiano voce, bisogna che siano ascoltati, che siano essi parte del
processo decisionale e che possano esprimere le loro esigenze e che poi possano chiederne
conto ai decisori politici.
Ma quale ruolo possono svolgere i media nella campagna
contro la povertà? Gea Finelli lo ha domadato a Paolo Butturini, segretario
dell’Associazione stampa romana:
R. – Innanzitutto, i media hanno un ruolo
fondamentale in una società democratica, soprattutto in una società globalizzata come
la nostra dove il flusso di informazioni è enorme. Proprio perché è enorme, è necessario
che i media abbiano contezza del loro ruolo. Il ruolo che possono svolgere è quello
di raccontare con chiarezza, con incisività e con sintesi la realtà e restituirla
ai cittadini in modo tale che i cittadini si rendano conto di ciò che li circonda.
D.
– I media però spesso sono accusati di eccessivo allarmismo, un allarmismo che provoca
uno stato maggiore di ansia nella società…
R. – Sono accusati di allarmismo
in relazione al fatto che spesso fanno del sensazionalismo rispetto all’informazione.
Qui, infatti, si tratta di spiegazione dei dati, di approfondimento, di racconto anche
delle vicende, non soltanto di notizia sensazionale che fa scalpore. Dire che ci sono
sei milioni di poveri, quattro milioni di poveri in Italia fa scalpore. Spiegare quali
sono i meccanismi attraverso i quali queste povertà si consolidano, si ampliano, e
come si può, quali sono le ricette per combattere questi meccanismi, questo toglie
il sensazionalismo e riporta l’informazione al suo ruolo fondamentale di accompagnamento
democratico.