2013-04-29 14:52:04

Islanda: netta vittoria del centrodestra, un voto contro l’austerity e l’Ue


In Islanda, è netta la vittoria dell'opposizione di centrodestra alle elezioni legislative tenutesi sabato scorso. Ai conservatori del Partito dell'Indipendenza va il 26,7% dei consensi, cioè 19 seggi in parlamento. L’Alleanza dei socialdemocratici e il Movimento di Sinistra-Verde, saliti al potere nel 2009, dimezzano i parlamentari. Il voto si oppone all’accelerazione nel processo di adesione all’Ue e soprattutto punisce le misure di austerità che, dopo il balzo del debito estero a 50 miliardi, hanno permesso all'isola di uscire dalla recessione, con un pil in salita e una disoccupazione in calo. Un’analisi nel voto nell’intervista di Fausta Speranza con Giandonato Caggiano, direttore del Dipartimento sull’Ue dell’Università Tor Vergata:RealAudioMP3

R. - L’Islanda sta pagando il suo debito: ha semplicemente diversificato la restituzione di crediti cittadini olandesi e inglesi, ma ha proceduto a questo pagamento. Questa banca si chiamava “Ice-save” ed era una banca che nel momento di crisi avrebbe comportato una bancarotta per tutto il Paese. Questa restituzione avviene e continua: è stato restituito quasi il 90%.

D. - Quindi, questo è un voto prettamente politico secondo lei: è un voto davvero contro l’avanzamento in Europa?

R. - L’Islanda ha nazionalizzato le banche, facendo assumere in prima persona ai contribuenti la responsabilità del vecchio sistema bancario, che era privatizzato, in primis sotto forma di spending review, in particolare per quello che riguarda il welfare, molto forte in quel Paese. Tagliare la spesa sociale non fa mai piacere a nessuno. E’ un costo che stanno pagando tutti gli Stati e certamente questa è una delle molle che ha portato al cambiamento dei partiti di governo, in atto a livello globale.

D. - Troppo spesso, forse ragioniamo in termini di Europa del nord assolutamente efficiente e soprattutto rigorosa sui conti, a fronte di un’Europa mediterranea che invece spende e spande ed è “pasticciona”. Invece, la situazione è un po’ più complessa: anche il Nord Europa sta passando e ha passato - come nel caso dell’Islanda - fasi particolari di economia…

R. - La crisi è globale, tocca tutti: il Regno Unito sta riducendo drasticamente il welfare, la protezione sociale, l’assistenza sociale. La crisi riguarda anche la Germania. C’è un momento in cui l’economia si ferma e chi non ha avuto una recessione di certo non cresce. Questo aspetto dell’Islanda sottolinea piuttosto il fastidio che hanno i cittadini quando sono chiamati a pagare i debiti dei privati che hanno fatto le loro speculazioni, o hanno qualcosa di simile ai “derivati”, o comunque degli errori finanziari. Alla fine, per via dell’indispensabile nazionalizzazione - come è successo un po’ anche a Cipro - quando una banca privata di fondamentale importanza per il Paese va in fallimento, è chiaro che deve intervenire lo Stato, e lo Stato vuol dire i contribuenti. I cittadini che contribuiscono con limitazioni al welfare, con restrizioni alle prospettive di evoluzione dei salari, non sono felici e la fanno pagare ai partiti che hanno determinato questa nazionalizzazione e il processo di spending review. È evidente che non reagiscono bene. Non differenzierei più di tanto il Nord Europa dal Sud Europa. Credo ci sia un grosso problema nella necessità di caricare sulle spalle dello Stato - quindi dei contribuenti - alcuni aspetti del sistema finanziario che ha fallito senza capire quello che stava arrivando in termini di crisi generale, quindi con speculazioni.







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