Israele: abbattuto drone in arrivo dal Libano. Le accuse ricadono su Hezbollah e Iran
Nella regione mediorientale, cresce la preoccupazione dopo che Israele – giovedì sera
- ha abbattuto un aereo senza pilota al largo delle acque territoriali. I sospetti
si concentrano su Hezbollah, la milizia libanese sciita filo-iraniana, che dal canto
suo smentisce ogni coinvolgimento. Sulla valenza di questo episodio, che ha suscitato
le preoccupazioni del primo ministro Israeliano Netanyahu, Eugenio Bonanata ha
intervistato Antonio Ferrari, inviato speciale ed editorialista del Corriere
della Sera:
R. – Da parte
di Hezbollah, negare si può sempre: ma, in questo caso, mi pare abbastanza improprio,
anzi veramente stridente, a meno che non sia direttamente un drone lanciato per interposto
stato, cioè da parte dell’Iran. Quello che mi ha colpito è quanto hanno detto – più
che i diplomatici o le dichiarazione scontate di Netanyahu, che erano ovviamente attese
– i militari, i quali dicono di avere l’impressione che questo sia una sorta di "assaggio",
un test per vedere la capacità reattiva di Israele. In realtà, la capacità reattiva
di Israele c’è stata, perché il drone, a quattro chilometri dalla costa, è stato abbattuto.
D. – Chi ha interesse ad aprire un altro fronte per raffreddare, in qualche
modo, l’attenzione sulla difficile situazione siriana?
R. – Innanzitutto, sono
in tanti. Come sappiamo, la guerra di Siria è una guerra interna, ma è anche la guerra
degli altri. Sono tutte le forze che stanno cercando di riposizionarsi in Medio Oriente.
Io credo ci sia una spasmodica attesa, forse eccessiva, per quanto riguarda le aspettative
dell’incontro che avverrà, pare a giugno, tra il presidente degli Stati Uniti, Barak
Obama, e il presidente russo, Vladimir Putin. La Russia sta giocando pesante, lasciando
intendere che potrebbe anche influire sull’alleato siriano per cercare di placare
questo conflitto senza fine, che vede coinvolti sia il regime, sia gli oppositori,
i quali non credo si stiano dimostrando molto più rispettosi della popolazione civile
di quanto invece non dimostri lo stesso governo e gli stessi militari di Assad. Dall’altra,
però, la Russia vuole mantenere il suo piede in Medio Oriente: vuole dire “noi ci
siamo”. Questi sono strumenti di pressione anche a livello internazionale, per dire:
“Attenzione: il problema c’è. Siamo tutti coinvolti e siamo pronti ad affrontarlo”.
Ecco perché è difficile, in quanto non vi sono soltanto gli attori regionali, ma ci
sono anche attori internazionali molto, ma molto importanti e influenti.
D.
– L’episodio potrebbe avere ripercussioni anche sul complesso processo di pace israeliano-palestinese?
R.
– E’ difficile dirlo. Io credo che, purtroppo, il processo di pace israeliano-palestinese,
questo negoziato che anche lo stesso presidente Obama ha cercato in tutti i modi di
rilanciare, sia esattamente al punto di partenza. C’è da risolvere il problema degli
insediamenti e Israele non ne vuole sapere. E’ chiaro che se ci sono delle pressioni
da parte dell’Iran o da parte dei suoi alleati – tipo hezbollah e anche tipo Siria
– è evidente che Israele tenderà a privilegiare questo fronte, il fronte dell’immediato,
piuttosto che impegnarsi, come pareva aver promesso in qualche misura, di riprendere
questo negoziato. Il problema è che riprendere il negoziato significa anche buona
volontà e significa essere pronti a un compromesso. Io credo che Israele non sia pronto
a un compromesso con i palestinesi, ma anche i palestinesi ci mettono del loro: cosa
si fa, un compromesso con l’Autorità nazionale palestinese di Ramallah, o si fa un
compromesso anche con l’Autorità di Hamas a Gaza? Finché non ci sarà una piena riconciliazione,
non ci sarà un forte riavvicinamento, sarà difficile proprio precostituire le condizioni
strutturali per la ripresa di un negoziato che sia vero questa volta e non a parole
come nel recente passato.
D. – Per gli israeliani è la conferma – l’ennesima,
qualora ce ne fosse il bisogno - della loro vulnerabilità…
R. – E’ chiaro che
Israele si trova in una posizione di potenziale accerchiamento, anche se io non credo
che siano tanti i Paesi che oserebbero anche solo fare una provocazione seria nei
confronti di Israele. Vulnerabilità geografica, se si vuole: basta guardare la cartina
per capirlo e non c’è dubbio. Vulnerabilità tout court, cioè possibilità veramente
di colpire Israele? Io credo che Israele abbia strumenti e tecnologia sufficienti
per fronteggiare qualsiasi tipo di pericolo. Poi, sa che se dovesse mai malauguratamente
partire un attacco, ci sarebbero alleati pronti, a cominciare dagli Stati Uniti, a
sostegno di Israele.