2013-04-26 07:54:46

Anche Bce e Fmi contro l’austerity, Berlino frena. Becchetti: allentare il rigore


Dopo tutti i sacrifici fatti finora, i Paesi possono allentare gli sforzi di risanamento dei conti pubblici e avviare subito le riforme per la crescita: sono parole del commissario europeo Olli Rehn ma a prendere posizione contro l’austerity sono anche la Bce e il Fmi. La Germania frena. Il servizio di Fausta Speranza:RealAudioMP3

Meno rigore sui conti pubblici: il commissario agli Affari economici Olli Rehn parla di “politiche di bilancio credibili” e di specificità dei vari Paesi da considerare. E’ cambio di rotta. E la Commissione non è sola. Il vicepresidente della Bce, Constancio, dichiara che “si può cambiare passo” e il Fmi invita l'Europa ad “evitare i rischi di stagnazione spingendo sulla crescita”. E nelle stesse ore in Italia il premier incaricato Enrico Letta fa sapere che vorrebbe rinegoziare il rigore. Ma arriva il freno della Germania: il ministro delle Finanze, Schaeuble, difende, in un’intervista ad una radio tedesca, il risanamento e a proposito dell’Italia dice che è “una sciocchezza scaricare sugli altri i propri problemi”: sottolinea i ritardi nel formare il governo che danneggiano l’economia. Sullo sfondo delle dichiarazioni, i disordini ieri sera a Madrid alla manifestazione contro l’austerity del premier Rajoy. La Spagna ha superato i 6 milioni di disoccupati: oltre il 27% della forza lavoro. E c’è da dire che anche la Francia registra il suo record disoccupazione: oltre 3 milioni di senza lavoro.


Della necessità di una inversione di rotta sul rigore, Fausta Speranza ha parlato con il prof. Leonardo Becchetti, docente di economia politica all’Università Tor vergata:RealAudioMP3

R. – Bisogna cambiare politiche: ci vogliono politiche macroeconomiche, fiscali e monetarie molto più espansive. E poi, all’interno dell’Europa, non ha senso la camicia di forza imposta all’Italia: se si pensa che oggi l’Olanda ha un deficit del 4,1 per cento e noi in Italia stiamo soffocando con un deficit del 2,3 non si capisce perché l’Italia non debba avere, in questo momento difficile, uno spazio maggiore per quelle risorse che ci servono come il pane per ridurre un po’ la pressione fiscale e far ripartire un po’ la domanda interna.

D. – Cosa dovrebbe fare effettivamente Bruxelles per invertire la rotta?

R. – Dovrebbe eliminare l’attuale vincolo del 3 per cento che non ha nessun senso, né teorico, né empirico … Ci sono stati i lavori del Fondo monetario, la confutazione di alcuni lavori dei sostenitori del rigore: non ha nessun senso, questo 3 per cento. E’ stato dimostrato, invece, che fare troppi sacrifici porta addirittura ad un aumento del rapporto debito-pil, non ad una riduzione, perché praticamente gli effetti recessivi sono troppo forti. In Italia, nell’ultimo anno, quattro punti in meno di pil sono stati generati dal crollo della domanda interna. Poi, due punti li abbiamo recuperati con l’aumento delle esportazioni. Quindi, poiché da un punto di vista sia teorico sia empirico non ha alcun senso, questa cosa va rimossa. Ovviamente, questo non vuol dire che bisogna spendere in maniera sbagliata, ma quei soldi in più che dobbiamo avere vanno usati molto bene: per esempio, per pagare i debiti della pubblica amministrazione, per aumentare il fondo di garanzia centrale per le banche per fare credito alle piccole e medie imprese … Quindi, i soldi vanno usati bene, però la camicia di forza che ci siamo imposti non ha senso né in generale per l’Europa, né per l’Italia, rispetto agli altri Paesi.

D. – Il coro è stato unanime: Commissione europea, Fondo monetario e la Bce. Ma la Germania frena questa inversione di tendenza sul rigore …

R. – E’ rimasta ormai l’unica la voce della Germania; tra l’altro, anche la Germania sta pagando le conseguenze del rigore perché nell’ultimo trimestre dello scorso anno è andata in recessione anche lei … Prima o poi, anche l’opposizione della Germania dovrebbe essere vinta. Quello che è grave è il ritardo che c’è stato sia da parte delle istituzioni sia da parte di alcuni economisti, nel capire gli errori che sono stati fatti.

D. – Nel frattempo: in Spagna, sei milioni di disoccupati; ma anche la Francia raggiunge il suo record …

R. – L’Europa, o si sveglia o rischia, e rischia l’euro. Quindi, deve mettere in prima linea la lotta alla disoccupazione guardando anche agli esempi degli altri Paesi. Prendiamo gli Stati Uniti, dove la Banca centrale con un’azione – se vogliamo – rivoluzionaria, rispetto al passato, ha detto che il suo obiettivo fondamentale è far scendere la disoccupazione sotto il 6 per cento. Quindi, una Banca centrale che si preoccupa prima di tutto della disoccupazione e poi dell’inflazione, non si era mai sentito. In questo, la Bce dovrebbe seguire l’esempio, dato che oggi è la Banca centrale l’istituzione economica che ha la forza maggiore per poter modificare la realtà dell’economia.

D. – Uno sguardo allargato: il presidente francese in Cina, i colossi asiatici che “minacciano” Stati Uniti e soprattutto l’Europa. Che cosa fare?

R. – Non è necessariamente una minaccia. Sappiamo che in questo momento nel mondo c’è convergenza. Mai l’economia è andata così bene, perché tutte le aree del mondo stanno crescendo. La crescita media mondiale è del 5 per cento. L’unica zona veramente in crisi è l’Europa del Sud: quindi, siamo noi che dobbiamo uscire dalle nostre anomalie di cui abbiamo parlato poco fa, e cogliere il positivo che c’è in questa crescita forte dei Paesi del sud del mondo. Vuol dire che bisogna andare in questi Paesi, bisogna esportare, bisogna stabilire relazioni commerciali perché senz’altro la domanda che viene da questi Paesi può essere utile anche per noi, se – ovviamente – le nostre aziende sapranno coglierla.







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