Udienza generale. Il Papa: il cristiano non si chiuda in sé, ma sia sempre in azione
per il bene del mondo
Il cristiano non deve chiudersi in se stesso, ma deve usare il tempo e i talenti che
Dio gli ha dato “per far crescere il bene nel mondo”. È la sintesi della catechesi
che Papa Francesco ha rivolto alle oltre 100 mila persone che hanno riempito Piazza
San Pietro per l’udienza generale del mercoledì. Ai giovani, in particolare, il Papa
ha chiesto di scommettere su “ideali grandi” che “allargano il cuore”. Il servizio
di Alessandro De Carolis:
Il cristiano
non vive in modo assonnato la vita che Dio gli dona. Il cristiano è sveglio, è un
uomo d’azione, di azione orientata al bene. Con il consueto vigore – e il contrappunto
di molti applausi a sottolineare i passi più “sentiti” – Papa Francesco scuote le
coscienze soffermandosi del “giudizio finale”. Punto di partenza è la frase del Credo,
che parla di Gesù che verrà di nuovo “a giudicare i vivi e i morti”, ma il Pontefice
dilata lo spazio di riflessione a ciò che una persona di fede è chiamata a fare prima
di arrivare a quel traguardo, il cui verificarsi – sostiene peraltro – non è sempre
così chiaro e saldo “nel cuore dei cristiani”. Per meglio spiegarsi, Papa Francesco
utilizza tre parabole. La prima – quella delle vergini sagge e delle vergini stolte
–mostra cosa significhi vigilare in attesa del ritorno di Cristo:
“Quello
che ci è chiesto è di essere preparati all’incontro - preparati ad un incontro, ad
un bell’incontro, l’incontro con Gesù -, che significa saper vedere i segni della
sua presenza, tenere viva la nostra fede, con la preghiera, con i Sacramenti, essere
vigilanti per non addormentarci, per non dimenticarci di Dio. La vita dei cristiani
addormentati è una vita triste, non è una vita felice. Il cristiano dev’essere felice,
la gioia di Gesù. Non addormentarci!”
La seconda parabola, quella dei talenti,
aggiunge un tassello al ragionamento e cioè che l’attesa di Cristo non è mai, per
chi crede, il tempo dell’inerzia:
“Un cristiano che si chiude in se stesso,
che nasconde tutto quello che il Signore gli ha dato è un cristiano… non è cristiano!
E’ un cristiano che non ringrazia Dio per tutto quello che gli ha donato! Questo ci
dice che l’attesa del ritorno del Signore è il tempo dell’azione - noi siamo nel tempo
dell’azione -, il tempo in cui mettere a frutto i doni di Dio non per noi stessi,
ma per Lui, per la Chiesa, per gli altri, il tempo in cui cercare sempre di far crescere
il bene nel mondo”.
A questo punto, Papa Francesco fa calare il principio
nelle pieghe dell’attualità. Fare il bene, dice, è fondamentale “in particolare oggi,
in questo periodo di crisi”:
“Oggi, è importante non chiudersi in se stessi,
sotterrando il proprio talento, le proprie ricchezze spirituali, intellettuali, materiali,
tutto quello che il Signore ci ha dato, ma aprirsi, essere solidali, essere attenti
all’altro”.
Alzando lo sguardo dai fogli alla Piazza, il Pontefice riserva
come sempre ai giovani un pensiero speciale. Si parla di talenti e Papa Francesco
chiede loro: “Avete pensato a come metterli a servizio degli altri?”:
“Non
sotterrate i talenti! Scommettete su ideali grandi, quegli ideali che allargano il
cuore, quegli ideali di servizio che renderanno fecondi i vostri talenti. La vita
non ci è data perché la conserviamo gelosamente per noi stessi, ma ci è data perché
la doniamo. Cari giovani, abbiate un animo grande! Non abbiate paura di sognare cose
grandi!”.
La terza parabola, dedicata al giudizio finale, chiude il cerchio
della catechesi. Papa Francesco rievoca la scena del Vangelo, la separazione tra chi
ha voluto soccorrere un fratello affamato, straniero, malato, carcerato e chi non
lo ha fatto. Qui, il Papa si interrompe e fa calare nel silenzio del Colonnato una
domanda:
“Penso a tanti stranieri che sono qui nella diocesi di Roma: cosa
facciamo per loro?”.
Quindi, riprende il filo del discorso e conclude ribadendo
che la “fede è un dono”, ma anche che Dio richiede a questo dono “una risposta libera
e concreta”, quella di “una vita buona, fatta di azioni animate dalla fede e dall’amore”:
“Cari
fratelli e sorelle, guardare al giudizio finale non ci faccia mai paura; ci spinga
piuttosto a vivere meglio il presente. Dio ci offre con misericordia e pazienza questo
tempo affinché impariamo ogni giorno a riconoscerlo nei poveri e nei piccoli, ci adoperiamo
per il bene e siamo vigilanti nella preghiera e nell’amore”.
Terminata
la catechesi in italiano, Papa Francesco si rivolge alla folla in altre sette lingue.
In Piazza San Pietro ci sono fedeli dal Vietnam all’Argentina e il Papa sembra volerli
abbracciare tutti con quel lungo, infinito giro tra la gente che lo attornia. Neonati,
ammalati, un coro di ragazzini, sposi, anziani: prima e dopo l'udienza, Papa Francesco
stringe centinaia di mani, intrattenendosi per un’altra ora abbondante con la folla
dopo la fine dell’udienza generale. E la sua solidarietà arriva, fra gli altri, ai
lavoratori sardi della società “E.ON”, che rischiano il lavoro e che mercoledì scorso
un ritardo aereo aveva impedito di essere dal Papa. “Auspico – ha detto loro il Pontefice
– che la grave congiuntura occupazionale possa trovare una rapida ed equa soluzione,
nel rispetto dei diritti di tutti, specialmente delle famiglie. La situazione in Sardegna
e nell’intero Paese è particolarmente difficile. È importante che ci sia un incisivo
impegno per aprire vie di speranza”.