Siria. Convegno Focsiv: autodeterminazione del popolo e percorso federale
“Il dialogo e il riconoscimento dell’altro devono prevalere in Siria”. E’ la sfida
lanciata dal convegno organizzato da Focsiv, volontari nel Mondo, che si è tenuto
a Roma dal titolo: “Siria due anni dopo: responsabilità ed esperienze a confronto”.
C’era per noi Massimiliano Menichetti:
Una strage quotidiana
che passa sotto silenzio e che vede una comunità internazionale immobile di fronte
a una catastrofe umanitaria drammatica. E’ la denuncia emersa dal Convegno sulla situazione
in Siria, organizzato da Focsiv a Roma. Il presidente della Federazione dei volontari
nel mondo, Gianfranco Cattai, ha ribadito che “le speranze di pace si fondano sulla
capacità di dialogo e che è necessario adoperarsi per creare stabilità nell’area”.
Diverse le testimonianze di giornalisti che hanno descritto situazioni devastanti.
Tra loro Lorenzo Cremonesi, inviato del Corriere della Sera:
R. – Questa
metodica repressione è gravissima. Sono circa 40 anni che seguo i conflitti in Medio
Oriente e non ho mai visto cose del genere da parte del regime, delle brigate lealiste
di Bashar Al Assad e della cosiddetta Shabiha, gruppi paramilitari di civili che più
che altro sono alawiti. Siamo in presenza di una repressione di larga scala con interi
villaggi distrutti, causa la presenza di pochissimi uomini armati. Poi, ci sono le
torture nelle carceri… Una cosa che mi ha colpito, e che ho raccontato tante volte,
è questo metodico attaccare da parte del regime i centri medici clandestini, gli ospedali
sotterranei, dove viene - prima di tutto - ucciso il personale medico e paramedico.
I giovani che vengono catturati spariscono: vengono uccisi, massacrati, torturati,
non si sa…
D. – In una situazione di questo tipo, le denuncia però un altro
pericolo e cioè che se la situazione dovesse rovesciarsi del tutto, potrebbe esserci
addirittura una strage di alawiti, cioè di coloro che di fatto sostengono Bashar Al
Assad...
R. – Non è per controbilanciare. Continuo a dire che all’inizio le
rivolte erano di stampo pacifico, non violente, e il regime le ha represse in un modo
sproporzionatamente violento da indurre la gente a prendere le armi, che all’inizio
non c’erano. Ciò detto, siamo ormai di fronte a un conflitto incancrenito, con un
intervento di forze straniere – dall’Iran all’Arabia Saudita, dal Qatar alla Turchia
– in cui adesso, con il crescere delle avanzate delle brigate sunnite e ribelli, ci
troviamo di fronte a un pericolo serio che io chiamo “un semi olocausto”, un massacro
etnico su larga scala, una di pulizia etnica nelle zone alawite, se i ribelli dovessero
rovesciare il Assad. Qui ci vuole una grandissima forza di interposizione internazionale.
“E’
necessario consentire l’autodeterminazione del popolo siriano e intervenire per fermare
la sproporzionata repressione del regime”, è stato più volte ribadito. Secondo i Comitati
dei rivoltosi in scontri, in varie parti del Paese ogni giorno muoiono dalle 80 alle
100 persone, spesso sono civili. Franco Frattini, presidentedella Società
Italiana per l'organizzazione Internazionale:
R. – Si vive
una tragedia con un milione di rifugiati nei Paesi vicini, persone che stanno soffrendo
pene terribili, vittime di tortura e di stragi. Credo che la comunità internazionale,
almeno su questo dovrebbe fare urgentemente molto di più e ragionare seriamente su
corridoi umanitari e sulle aree di protezione, per evitare che queste stragi continuino.
D.
– La questione della composizione dell’opposizione siriana è quanto mai eterogenea.
Qual è il volto di questa opposizione?
R. – È un volto che si sta consolidando.
Oggi, la presenza di un cristiano come capo ad interim dell’opposizione siriana
dà un segnale di apertura positivo che coincide con quanto io stesso ho sentito da
molti esponenti dell’opposizione. Vi è una componente certamente estrema, una componente
addirittura qaedista che può approfittare di questa situazione drammatica. Bisogna
non cadere né nella trappola del regime di Assad che dice “tutto è terrorismo”, ma
neanche nella trappola di coloro che, offrendo magari aiuti in nome della giusta richiesta
dei rivoluzionari di libertà e di diritti, in realtà mirano poi ad affermare uno Stato
qaedista ispirato a principi che non sono democratici. Quindi, il sostegno va dato
solo all’opposizione legittima e democratica.
Secondo l’Onu, in “Siria si stano
verificando violenze inaccettabili”. L'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i
Rifugiati denuncia che se non si porrà fine a questa situazione, entro la fine dell'anno
10 milioni di persone avranno bisogno di aiuti umanitari. Intanto, oltre un milione
di persone sono fuggite dalla guerra civile, cercando rifugio nei campi profughi che
confinano con la Siria. L'opinione di Domenico Chirico, direttore di “Un
Ponte per…”, ong impegnata sul fronte dell’assistenza umanitaria in Giordania e Nord
Iraq:
R. – Va subito
detto che c’è una fortissima solidarietà da parte delle comunità locali, quindi non
necessariamente solo dalle ong internazionali. C’è un’enorme solidarietà ma, nel momento
in cui i numeri diventano così ampi, il problema diventa molto grave e non è più la
semplice comunità che riesce ad accogliere un’altra persona. Così esplodono i conflitti
di integrazione e di convivenza. Quindi, alcuni Paesi – come la Turchia e la Giordania
– hanno scelto di chiudere parte dei rifugiati nei campi, che sono campi dove ovviamente
esplodono delle vulnerabilità, perché sono carceri a cielo aperto dove vivono più
di 100 mila persone. In questi casi, i problemi possono essere enormi. In altri Paesi,
si riesce ad avere una maggiore accoglienza nelle città. Però, ormai i numeri della
crisi sono così ampi che è difficilissimo riuscire a parlare di una reale accoglienza.
“Non
serve accoglienza, ma uno sforzo ed un cammino che porti la Sira verso un modello
federale”, ha ribadito il gesuita, padre Paolo Dall’Oglio, da trent'anni in
Siria dove ha fondato la comunità monastica di Deir Mar Musa. Espulso dal regime nel
2011, oggi risiede nel Kurdistan Iracheno:
R. – Il sano
realismo, combinato con una coraggiosa speranza, va nel senso di decidersi, nella
collettività globale, per la democrazia dei siriani, l’autodeterminazione, per la
caduta del regime e per riuscire nello sforzo di combinare i nuovi elementi – quello
curdo, la polarizzazione comunitaria della popolazione siriana – in una nuova armonia
che non è più quella dell’unità imposta dall’unico partito di regime, ma che sia invece
un’unità costruita dai cittadini siriani in vista di un progetto consensuale moderatamente
federale. Questo permetterebbe di evitare, al momento della caduta del regime, la
spirale delle vendette e il rischio di gravi derive di massacri.
D. – Qual
è la situazione dei cristiani in Siria?
R. – Purtroppo, molti cristiani se
ne sono andati perché nella situazione di guerra civile sunnita-sciita che si è creata,
i cristiani si sono trovati intrappolati come in Iraq e se ne vanno. Se la situazione
si inverte, i cristiani potranno essere lievito di riconciliazione.