Myanmar: il governo libera 56 attivisti. La leader cattolica: non basta
Il governo birmano ha ordinato la liberazione di almeno 56 prigionieri politici, in
seguito alla decisione dell'Unione Europea di rimuovere tutte le sanzioni economiche,
commerciali e individuali al Myanmar; resta confermato, invece, l'embargo alla vendita
di armi. La conferma del rilascio dei detenuti - riferisce l'agenzia AsiaNews - arriva
proprio da uno di essi: si tratta dell'attivista Zaw Moe, il quale spiega che la scelta
di Naypyidaw è vincolata alla votazione di Bruxelles, che spalanca le porte della
ex Birmania agli investitori europei. Secondo altri commentatori, invece, la liberazione
è legata ai festeggiamenti per il nuovo anno birmano, che si è celebrato nei giorni
scorsi in tutto il Paese. Al contempo l'esecutivo del presidente riformista Thein
Sein, salito al potere nel marzo 2011 dopo decenni di dittatura militare, ha annunciato
il proposito di favorire l'insegnamento scolastico delle lingue appartenenti alle
minoranze etniche. Ora migliaia di alunni di istituti governativi potranno imparare
il loro idioma nativo, come seconda lingua nel contesto dei normali curriculum scolastici.
Finora le direttive del ministero consideravano l'inglese come seconda lingua nazionale.
Attivisti per i diritti umani e organismi internazionali hanno accolto con favore
il recente rilascio di prigionieri, che segue provvedimenti analoghi già presi in
passato e per i quali Napypyidaw aveva creato una specifica commissione, chiamata
a studiare ogni singolo caso. Tuttavia, come sottolinea Bo Kyi dell'Assistance Association
for Political Prisoners (Aapp) "più di 200 altri prigionieri politici sono tuttora
rinchiusi nelle carceri birmane". Essi vanno "rilasciati senza condizioni" e fra questi
vi sono anche 40 ex ribelli Shan, incarcerati con l'accusa di traffico di droga. Fra
le voci critiche vi è anche quella dell'attivista cattolica Khon Ja Labang, già membro
del movimento Kachin Peace Network, impegnata nella pacificazione delle aree teatro
di conflitti etnici, secondo cui "l'Unione europea non avrebbe dovuto rimuovere le
sanzioni". L'attivista di etnia Kachin spiega ad AsiaNews che "è ancora oggi assai
necessaria la pressione politica", visto che non vi sono posizioni unanimi nemmeno
in tema di cittadinanza. "Aung San Suu Kyi - racconta - ha parlato di revisione della
norma del 1982, ma il ministero dell'Immigrazione ha subito precisato che non vi è
nulla di sbagliato nella legge". Per l'attivista è evidente che "non c'è un vero desiderio
di cambiamento". Le violenze contro i musulmani, chiarisce l'attivista cattolica Khon
Ja, non si limitano "ai Rohingya, ma colpiscono varie fazioni della minoranza islamica
birmana". Per dar corso a una "soluzione politica" del problema, bisognerebbe prima
di tutto "avviare approfondite indagini per capire chi c'è dietro queste violenze,
arrestando tutti i monaci e le persone che soffiano sul fuoco per alimentare lo scontro
etnico e confessionale. Una iniziativa che devono prendere proprio i Bamar - il principale
e più diffuso gruppo etnico del Myanmar - in prima persona". (R.P.)