Stefania Falasca: il linguaggio di Papa Francesco è quello del Vangelo, per questo
arriva a tutti
Fin dai primi momenti del suo Pontificato, Papa Francesco ha conquistato il cuore
dei fedeli con il suo linguaggio semplice e diretto. Uno stile che desta l’attenzione
anche dei non credenti e che trova particolare eco nelle omelie che, quotidianamente,
il Papa tiene la mattina nella Messa alla Domus “Sanctae Marthae” in Vaticano. Per
una riflessione sul linguaggio “comprensivo e comprensibile” di Jorge Mario Bergoglio,
Alessandro Gisotti ha intervistato la giornalista Stefania Falasca,
legata a Papa Francesco da una lunga amicizia:
R. - Bisogna
dire che le coordinate portanti dello stile di Papa Francesco si fondano proprio sul
primato della parola, il primato della parola nel suo statuto comunicativo-relazionale,
che vuol dire l’oralità: è il primato della colloquialità, dell’accessibilità e della
chiarezza e anche della bellezza. Lui è un amante di Dostoevskij, per avere un riferimento
letterario, e di Tolstoj, i quali definivano la semplicità e la bellezza “funzioni
della verità”, quindi anche attraverso la scelta di parole che subito aprono e subito
illuminano.
D. - “Gesù - diceva lo scrittore argentino Borges - pensava per
parole e usava frasi che facevano colpo”. Certo si potrebbe dire che proprio questo
fa Papa Francesco: le sue parole colpiscono immediatamente e restano…
R. -
Sì, anche queste sono espressioni di un linguaggio che si può dire figurato... in
due parole riesce a condensare efficacemente temi che hanno un ampio respiro, un’ampia
trattazione e consentono quell’aspetto che dicevo prima: dare subito un effetto. E’
una sorta di espressionismo, anche molto tipico nella lingua spagnola, molto marcato:
non sono dei "mezzucci di comunicazione". Si ridà la corporalità, la fisicità alle
parole, perché tutti possano comprendere. Questo poi è anche - diciamo - un tratto
tipico della comunicazione odierna, quella del web, quella del linguaggio post-moderno.
D. - Su "Avvenire" hai scritto che il parlare di Papa Francesco è un sermo
humilis...
R. - Maestro per eccellenza del sermo humilis è stato
Sant’Agostino. Vuol dire parlare a tutti, vuol dire l’universalità e, allo stesso
tempo, la contemporaneità, l’immersione nel divenire del mondo, che è proprio il linguaggio
evangelico. E’ il linguaggio delle Sacre Scritture, è la sapienza del porgere, quella
cioè che i Padri della Chiesa consideravano arte: l’omelia, l’arte di conversare semplicemente
con gli uomini. Diciamo che alla base di questo c’è una natura teologica, perché Sant’Agostino
condensa proprio il significato del sermo humilis in due termini che sono “utile”
e “adatto”: lui dice che essendo la verità cristiana “amorosa e soave salvezza”, deve
essere posta suaviter, con delicatezza, e questo per rispetto sia alla natura
stessa della Salvezza, della Verità, sia tanto più al rispetto delle possibilità di
recezione dell’uditore. Quindi io credo che siano queste le ragioni di un linguaggio
che abbraccia ed è comprensivo del mondo e degli uomini; comprensivo quindi e comprensibile
perché sermo humilis è anche caritas, lieta novella nell’accezione agostiniana.
D. - Non c’è una strategia di comunicazione nel parlare di Bergoglio: l’unica
sua vera strategia è l’adesione al Vangelo…
R. - Sì. C’è un retroterra sicuramente
anche per la vastità della cultura di Bergoglio, ma quello che si esprime maggiormente
è questa sua ansia di trasmettere la Parola di Dio. Io dico che il fascino di questo
suo parlare che arriva a tutti, anche ai lontani e ai non credenti, è che non sono
parole soltanto predicate, ma veramente vissute. “La vita è il paragone delle parole”:
questo diceva Manzoni e ricordo che lui mi citò questa frase, che peraltro è nel capitolo
dei Promessi Sposi da lui molto amato, quello della "Conversione dell’Innominato".
La vita è il paragone delle parole. Dal suo modo di parlare si capisce quanto per
lui è vero e vissuto quello che dice.