2013-04-23 15:48:20

Iraq: la strage a Kirkuk. Bilancio negativo dall'uscita degli Usa


Iraq di nuovo in primo piano per le violenze scoppiate ieri mattina in una piazza di Hawija, a ovest di Kirkuk, nel nord del Paese, dove le forze di sicurezza hanno attaccato un gruppo di manifestanti dell’opposizione sunnita, che accusa il primo ministro sciita, al Maliki, di attuare una politica discriminatoria. L’assalto era programmato per arrestare i responsabili dell’uccisione, due giorni fa, di alcuni soldati. Almeno 27 i morti e decine i feriti. Roberta Gisotti ha intervistato Margherita Paolini, coordinatrice scientifica della rivista di geopolitica "Limes":RealAudioMP3

I manifestanti sunniti erano asserragliati nella cittadina da metà gennaio, in vista delle elezioni che sabato scorso hanno chiamato al voto oltre 13 milioni di iracheni per rinnovare 12 Consigli provinciali su 18, primo test elettorale dal ritiro degli Stati Uniti. E mentre si aspetta l’esito delle urne, proseguono le proteste in diverse località e non cala la tensione. Ben 14 i candidati uccisi dall’inizio dell’anno. Ma quali scenari si profilano dallo spoglio delle schede? Margherita Paolini:

R. – Quello che io vedo è che, dal momento in cui sono partiti gli americani nel dicembre 2011, le cose sono andate abbastanza male. Noi abbiamo tre elementi di tensione che giocano sul presente e sul futuro a breve termine. Abbiamo la situazione curda, a nord, che ormai si è definita come un’autonomia che di fatto equivale ad un’indipendenza, che è soprattutto importante non solo sul piano amministrativo, ma per il fatto che gestisce con massima autonomia le risorse petrolifere e gasifere. E poi le preoccupazioni delle popolazioni sunnite dell’area di Kirkuk che hanno due motivi di fondo: uno, quello più generale, di sentirsi emarginati e tagliati fuori dai processi economici e produttivi legati soprattutto alle risorse petrolifere e gasifere. E l’altro è quello che temono che piano piano la zona di Kirkuk, che è quella in cui si trovano e quella più consistente già in sviluppo, finisca poi per essere 'sifonata' dal Kurdistan. Per cui, il malumore viene espresso dal proliferare di attentati anche contro luoghi sacri sciiti. C’è inoltre anche il fatto che la stessa etnia sciita non è compatta, perché anche qui, a causa delle risorse petrolifere e gasifere, abbiamo il fenomeno della provincia di Bassora e di Muktad al-Sadr, il quale comunque coltiva anche 'tentazioni' autonomiste in un ambito federativo. Quello che è interessante è vedere che Muktad al-Sadr – da elemento che sembrava un po’ sovversivo, legato all’Iran – si stia presentando come un elemento più moderato che però vuole far fuori al Maliki come un accentratore, mentre lui, Muktad al-Sadr, vorrebbe presentarsi come un possibile presidente federale. Su tutto questo quadro, che è già complicato, c’è la situazione di crescente minaccia invasiva di al Qaeda Iraq che sono poi quelli che fanno un certo tipo di attentati. Penso che in questo attacco a Kirkuk le truppe governative cercassero anche elementi qaedisti, che fossero andati a rifugiarsi là, nella zona dove c’era quel raduno, perché ci sono stati attentati in queste zone e anche a Baghdad. E, la tipologia di questi attentati riporta gli schemi operativi qaedisti.

D. – Un test elettorale anche per tracciare o confermare un bilancio complesso degli effetti dell’intervento armato internazionale in questo Paese…

R. – Io ho sempre una grande fiducia nelle capacità di recupero degli iracheni, che sono sempre stati un grande popolo: hanno anche dei leader locali bravi. Però, le ipoteche che pesano su questo Paese, che sono rimaste sono molto, molto pesanti. Non si sta facendo praticamente nulla per aiutarli: questo è il punto. Si prende, si va via e poi ci si occupa delle risorse gasifere e petrolifere: questo è tutto l’interesse che ha il mondo occidentale. Mi sembra – posso dirlo? – scandaloso.

Ultimo aggiornamento: 24 aprile







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