Giornata di consultazioni lampo. Domani Napolitano dà l'incarico
Si concluderà questa sera la giornata di consultazioni-lampo del presidente Napolitano
per il nuovo governo. Oltre ai nomi di Enrico Letta e Giuliano Amato, sembra prendere
corpo l’ipotesi di Matteo Renzi. Enrico Letta del Pd ha detto che il Capo dello Stato
sceglierà domani chi incaricare e che il suo partito è disposto "a concorrere alla
nascita di un governo sulla scia delle dichiarazioni del presidente'' Il servizio
di Debora Donnini:
Una sola giornata
di incontri e poi si conclude. Napolitano è deciso a non perdere altro tempo dopo
aver parlato chiaramente ieri della necessità di intese fra forze diverse per far
nascere un governo, visti i risultati delle elezioni. Come da protocollo, stamani
il capo dello Stato ha incontrato i presidenti di Camera e Senato, Boldrini e Grasso.
Poi è iniziato il turno dei partiti. Gruppo misto e Sel dicono no ad un governo di
larghe intese. La Lega ha già manifestato opposizione netta al nome di Amato che intanto
nega future patrimoniali o prelievi sui conti correnti. Dalle 18 saranno ricevuti
prima il Pdl e poi il Pd. Il capogruppo alla Camera Speranza non esclude la candidatura
di Renzi. Ipotesi a cui apre la Meloni per un 'patto generazionale', nonostante il
no, in generale, di Fratelli d’Italia ad un governissimo. Non contraria all’ipotesi
Renzi, Scelta civica. Il sindaco di Firenze smorza però le voci dicendo che la sua
candidatura è la meno probabile. Il Movimento 5 Stelle riunito in assemblea ha deciso,
alla fine, che manderà i suoi rappresentanti al Colle per le consultazioni. Malessere
nel Pd che ha iniziato da poco la riunione della direzione. Bersani conferma le sue
dimissioni e senza mezzi termini afferma: "Molti dei nostri grandi elettori sono venuti
meno a decisioni democratiche e formali, fino a portarci sull'orlo di una crisi gravissima
e senza precedenti della nostra democrazia". L’incontro oltre a stabilire chi mandare
alle consultazioni dovrà eleggere un gruppo di gestione del partito.
Il Paese
attende ora una svolta politica dopo il fortissimo richiamo lanciato dal capo di Stato
ai partiti durante il suo discorso ieri pomeriggio in occasione dl giuramento davanti
alle Camere riunite. Ascoltiamo in proposito il prof. Antonio Maria Baggio,
docente di Filosofia politica presso l’Università Sophìa di Loppiano, al microfono
di Fabio Colagrande:
R. - Io credo
che passerà alla storia questo richiamo del presidente alla realtà, perché di questo,
in effetti, si è trattato! Ha detto: “Dobbiamo partire dalla realtà delle cose”. La
realtà delle cose è che tutti i partiti hanno chiesto il voto e nessuno ne ha ottenuti
abbastanza per governare. La necessità di intese per fare il governo si doveva constatare,
ravvisare fin dall’inizio ma – sostanzialmente – dice ai partiti: “Vi siete dimenticati
di come si fa politica: la politica si fa mettendosi insieme, con contrasti ma anche
con chiarimenti e con alleanze. E invece, negli ultimi 20 anni c’è stata una tale
contrapposizione, un tale odio in politica che vi siete dimenticati come si fa politica”.
Ha anche ricordato ai parlamentari che non sono i “servi” di un partito, non sono
gli “scrivani” di una volontà popolare dettata da internet, ma sono depositari della
volontà popolare.
D. – Perché siamo arrivati a questa degenerazione? Perché
i parlamentari preferiscono fare gli interessi delle proprie fazioni, piuttosto che
quelli del Paese, secondo lei?
R. – Sono cooptati e non sono eletti, quindi
in realtà non hanno più un rapporto vitale con il “sovrano”, che è l’insieme dei cittadini,
ma devono rispondere a quel “padrone”, a quel partito padronale che ormai li sceglie.
Si sono istaurati in sostanza rapporti privati in sostituzione dei rapporti pubblici:
questa è una degenerazione grave e ha portato con sé dei disastri. Il presidente Napolitano,
nell’elenco delle cose urgenti da fare, ha detto: “C’è stata una lunga serie di omissioni
e di guasti, di chiusure e di irresponsabilità”. Quali sono le conseguenze? E ha fatto
l’elenco; e la parte positiva di questo elenco sono le cose che invece vanno fatte
a partire da subito. È interessante che il primo punto posto dal presidente è la riforma
delle istituzioni, significativamente messa insieme ad un rinnovamento della politica
e ad una riforma dei partiti stessi. Quindi, è un nucleo di cose collegate tra loro
che deve cambiare: la legge elettorale, per consentire di governare stabilmente; i
partiti nella forma e nello stile di politica, nella facilità di partecipazione, e
la politica nel suo insieme. Il fenomeno dirompente che abbiamo vissuto, quello dell’emergere
del Movimento 5 Stelle, regge perché ha degli obiettivi che sono obiettivi di cittadinanza,
che tutti dobbiamo condividere e quindi vanno applicati: quelli che parlano di trasparenza
della politica, di misura delle spese … In questa maniera, anche il movimento di Grillo
vedrebbe realizzate alcune richieste “di rottura”, e potrebbe strutturarsi con una
forma più costruttiva su altri punti.
D. – Il presidente ha anche detto che
non è possibile nessuna auto-indulgenza rispetto ai forti richiami che lui ha lanciato
e molti hanno sottolineato in maniera critica i frequenti applausi che hanno spezzettato
il suo discorso. Erano un pochino stonati?
R. – Parlava appunto di indulgenza
quando è stato applaudito: è stato interrotto continuamente da applausi. Anch’io sono
stato tra coloro che si sono sentiti infastiditi, perché mi è sembrato di vedere una
dimensione patologica: una massa di persone che si è dimostrata incapace di scegliere
un presidente della Repubblica, per questi legami perversi con i partiti; quindi,
gente che aveva dimostrato la propria impotenza, d’improvviso - identificandosi con
un presidente che è il “buono”, che è il presidente che porta l’onore - cerca di riscattarsi
in qualche modo. Questo è un effetto ricorrente in politica: nei decenni passati,
nei momenti più critici, la Democrazia Cristiana si affidava a uomini come Moro, come
Zaccagnini che – per la loro onestà e capacità politica – coprivano un po’ tutto il
partito. Questi effetti di copertura – che sono opera generalmente di mediocri e di
pavidi – il presidente li ha stigmatizzati, dicendo: “Gente così non può fare il bene
del Paese”.