Padre Chiera: i “meninos de rua” hanno fame di amore prima che di pane
Secondo la Banca Mondiale, oltre il 50% della popolazione mondiale che vive in condizioni
di povertà è concentrata in Cina, India e Brasile. Nonostante i numeri che restano
drammatici, dagli anni ‘80 sono riuscite a superare la povertà 600 milioni di persone.
In Brasile, da 35 anni il sacerdote italiano Renato Chiera è impegnato con i “meninos
de rua” con la sua “Casa do Menor”. Rafael Belincanta ha raggiunto telefonicamente
padre Renato Chiera a Fortaleza, per raccontare la sua esperienza nella lotta
contra la povertà:
R. - Nella mia
esperienza di padre di strada, e adesso delle cracolandie, ho visto e vedo
dal mio punto di vista la realtà della povertà dei ragazzi. È un dramma, perché è
una povertà materiale, ma anche una povertà di fame, di casa, di futuro, di scuola.
Ma c’è una povertà estrema, drammatica che è quella del cuore. Vedo che la più grande
tragedia non è essere poveri in senso economico – anche se questo è bruttissimo –
ma è non essere amati, non essere figli. E questa è la tragedia della maggior parte
dei bambini e ragazzi del Brasile, e forse anche dell’umanità. I nostri figli, i nostri
ragazzi, non si sentono più figli! Non sono figli amati. Sono persone che possono
anche avere beni materiali, però questi beni non riempiono il cuore. Il cuore dei
ragazzi, dei bambini, grida la presenza di qualcuno che li faccia sentire figli. Ascolto
continuamente questo grido! È un grido di fame fisica, perché c’è ancora questo! Ci
arrivano dei bambini che sono nelle condizioni nelle quali si trovavano qualche anno
fa i bambini dell’Etiopia!
D. - Ma oltre a questa figura emblematica di un
bambino stremato dalla fame, la povertà assume altri volti, secondo lei?
R.
– Sì. C’è l’esclusione dalla scuola. Anche se possono andare a scuola, non imparano.
C’è l’esclusione dall’avere un futuro, una professione, dall’avere una famiglia, un
lavoro… Adesso, i più esclusi, in un mondo sempre più competitivo, sono ancora più
esclusi. Poi vedo le cracolandie… sono dei cimiteri di vivi che aspettano di
morire e si consolano con il crack. In questi luoghi c’è il grido della povertà estrema,
radicale; una povertà di esclusione sociale, economica, il fatto di non sentirsi nessuno.
Ma anche lì c’è la povertà del cuore. Il grido del cuore per essere amati. Ho scritto
un libro sull’esperienza nella cracolandia a Rio. Il titolo è “Dall’inferno,
un grido per amore”. Quindi, vorrei che noi non avessimo solamente una visione di
povertà materiale. Il mondo è ancora molto ingiusto a questo livello, ma dovremmo
vedere la povertà del cuore e quella di chi non è amato.