Siria ancora nel caos. L'Onu denuncia: a fine anno milioni i rifugiati
La crisi siriana ancora nel caos. Continuano in tutto il Paese gli scontri armati
tra esercito di Damasco e il multiforme fronte dei ribelli. E mentre l’Onu rilancia
l’allarme per l’aggravarsi dell’emergenza umanitaria – a fine anno potrebbero essere
quasi quattro milioni i rifugiati – a preoccupare ci sono le notizie che periodicamente
vengono diffuse sull’utilizzo nel conflitto di armi chimiche. Giancarlo La Vella
ne ha parlato con Lorenzo Trombetta, dell’Ansa di Beirut:
R. – E’ davvero
molto difficile poter parlare in termini il più possibile oggettivi della questione
delle armi chimiche, che invece mi sembra assuma sempre più un valore politico, dall’una
e dall’altra parte. Tutti sanno che è un po’ uno spauracchio che potrebbe far cambiare
gli equilibri delle cancellerie occidentali e spesso viene usato strumentalmemte sia
dal regime siriano, sia dai ribelli, sia dalla Russia, sia dagli Stati Uniti, sia
dagli occidentali, in generale, per cercare di spostare l’ago della bilancia verso
una decisione o quella opposta.
D. - I Paesi amici della Siria, riuniti a Istanbul,
parlano anche dell’effetto al Qaeda su questa guerra civile. E’ proprio questo un
aspetto che impedisce alla comunità occidentale di impegnarsi di più in questa crisi?
R.
– Sicuramente la presunta rivendicazione del gruppo Jabhat as Nusra di essere appartenente
alla galassia di Al Qaeda ha facilitato tutti coloro, in primis il regime, che in
un certo senso cercano di ritardare o di frenare un aiuto ai ribelli siriani. Ovviamente
il presidente Bashar al Assad cerca di impaurire gli occidentali con l’equazione:
"Se vado via io, ci sono Al Qaeda e il caos a tre ore di volo dall’Europa. Abbiamo
notizie abbastanza certe che la formazione Jabhat as Nusra sta guadagnando terreno.
La maggior parte degli appartenti sono combattenti stranieri, arabi musulmani, persino
jamaicani. Ormai c’è davvero di tutto nel fronte jihadista, ben distinto da quello
degli insorti siriani che lottano per un’altra causa.
D. – Come in ogni conflitto
si aggrava sempre di più l’emergenza umanitaria, adirittura si parla di tre milioni
e mezzo di rifugiati entro l’anno, una vera e propria "bomba ad orologeria". A chi
spetta cercare di risolverla? Qui è coinvolta anche la comunità internazionale...
R.
– Questa è una responsabilità prima di tutto dei governi locali, perché non possiamo
sempre pensare che i Paesi arabi, la Turchia, debbano essere sostenuti sempre da qualcun
altro. Sono governi che già vengono aiutati moltissimo dall’Occidente. Poi, certo,
i primi a dover essere interessati siamo noi europei. L’Unione Europea deve svolgere
un ruolo di prima piano, più degli altri Paesi geograficamente meno interessati. Dobbiamo
pensare prima di tutto a come affrontare quella che è anche una questione politica,
non soltanto una questione umanitaria, perché quando, per esempio, si parla di creare
campi profughi in territorio siriano a ridosso dei confini libanese e giordano, questo
significa creare una zona di sicurezza, in cui gli aerei non possono sorvolare e bombardare.
Se si devono trovare soluzioni per questi tre milioni e mezzo, ma forse anche quattro
o cinque milioni di siriani, bisogna affrontare la questione alla radice, evitando
che qualcuno spari contro di loro e li costringa a fuggire.