Napolitano rieletto presidente della Repubblica. 738 i voti favorevoli
"Accolgo con animo grato la fiducia che la grande maggioranza dei parlamentari mi
ha espresso”. Così Giorgio Napolitano ieri sera dopo il secondo mandato a presidente
della Repubblica conferitogli con 738 voti, quelli di Pd, Pdl, Lega e Scelta Civica.
I leader di questi partiti erano saliti in mattinata al Colle per sollecitare Napolitano
ad accettare la ricandidatura. Contrari invece Sel e Movimento 5 Stelle che sostenevano
invece Stefano Rodotà. Napolitano che giurerà lunedì pomeriggio ha parlato di “fase
grave e difficile” invitando tutti alla massima responsabilità e a collaborare al
rafforzamento delle istituzioni. Durissima la reazione di Beppe Grillo che convoca
la piazza e grida al golpe. Le parole dell’ex comico sono definite inaccettabili dai
presidenti di Camera e Senato. A piazza Montecitorio dove inizialmente doveva tenersi
la manifestazione dei grillini, rinviata forse a domani, sono confluite moltissime
persone, tanto che la polizia ha sbarrato gli accessi. Intanto il Pd fa i conti con
le profonde divisioni al suo interno. Enrico Letta annuncia: “andiamo verso il Congresso,
si è dimessa l’intera segreteria”, “c’è da fare grande pulizia”. Congratulazioni a
Napolitano dal presidente della Commissione Ue Barroso: “Sono certo che sotto la nuova
presidenza l’Italia continuerà a dare il suo decisivo contributo al nostro comune
ideale europeo”. Da parte loro i vescovi italiani esprimono “felicitazioni”. “Avvertiamo
il peso della responsabilità che l'incarico conferitoLe porta con se', specialmente
in quest'ora della storia'', scrive in un messaggio la presidenza della Cei. Servizio
di Giampiero Guadagni:
Un
applauso liberatorio della grandissima parte dell’aula di Montecitorio ha accolto
la riconferma di Giorgio Napolitano, primo presidente della Repubblica ad essere rieletto.
Quelle di questi giorni sono state giornate tra le più difficile degli ultimi decenni
della vita politica italiana. Fallite le candidature di Marini prima, di Prodi poi,
con un Pd ormai allo sbando dopo le dimissioni del segretario Bersani, la fase di
stallo assoluto è stata superata con la decisione di chiedere formalmente a Napolitano
il sacrificio della riconferma. Al Colle in mattinata sono saliti separatamente le
delegazioni di Pd, Pdl, Lega e Scelta Civica. Napolitano che nei giorni scorsi aveva
rifiutato con fermezza la proposta, intorno alle 14.30 ha fatto sapere di essere disponibile,
spiegando in una nota di non potersi in questo momento sottrarre a un'assunzione di
responsabilità verso la nazione, confidando che ve ne corrisponda una analoga collettiva.
Nei colloqui della mattinata non si è discusso del prossimo governo. Ma l’orientamento
è un esecutivo di larghe intese che approvi le riforme più urgenti, istituzionali
ed economiche. Uno scenario fortemente contestato da Sel e Movimento 5 Stelle, che
anche alla sesta votazione hanno puntato su Stefano Rodotà. Grillo grida al colpo
di Stato e promuove una mobilitazione stasera in Piazza Montecitorio. Prende le distanze
Rodotà che afferma: sempre stato contrario a marce su Roma, le decisioni del Parlamento
sono sempre democratiche.
Un percorso veramente accidentato quello che ha portato
le Camere riunite a votare Giorgio Napolitano per un secondo mandato: cinque tentativi
andati a vuoto, franchi tiratori e schede bianche e poi una crisi profonda che ha
portato al crollo dei vertici del Pd, fino a Beppe Grillo che grida al “golpe”. Gabriella
Ceraso ne ha parlato con Agostino Giovagnoli politologo e docente di storia
contemporanea all’Università Cattolica del Sacro Cuore:
R. - Non ci
sono mai state elezioni di un presidente della Repubblica, nella storia dell’Italia
repubblicana, così difficili e così drammatiche. Certamente ci si è arrivati dopo
molto vicende: dalla crisi che ha fatto nascere il governo Monti alle elezioni che
non hanno dato una maggioranza chiara, la mancata formazione di un nuovo governo.
Tutto questo ha creato delle attese eccessive e davanti a queste attese eccessive
è emersa una crisi: una crisi che ha riguardato i partiti, il Partito Democratico
in modo particolare, e contemporaneamente anche il Parlamento.
D. - Che cosa
succederà ora per questo Paese?
R. - Credo che, malgrado queste proteste o
queste opposizioni, un governo si farà e sarà un governo che avrà un’ampia base parlamentare.
Certo un governo del presidente non può essere un governo che dura a lungo o che ha
funzioni limitate: dunque la questione rimane. Darà alle forze politiche la capacità
di riorganizzarsi.
D. - Secondo lei, il parlamento nel suo insieme, dopo questa
vicenda, non esce un po’ privato di autorevolezza?
R. - Questo purtroppo è
vero ed è pericoloso. Le due difficoltà - l’empasse parlamentare e la crisi dei partiti
- sono strettamente legate e vanno affrontate insieme per ripristinare un percorso
che sia più virtuoso di democrazia rappresentativa, perché - lo ripeto - c’è anche
da notare che l’alternativa ancora non si vede, ancora non emerge. Abbiamo una opposizione
antipolitica; abbiamo una opposizione che si è opposta a Napolitano con una figura
che - sinceramente - non è particolarmente innovativa, come è quella di Stefano Rodotà;
un’opposizione che non è riuscita a proporre alcunché rispetto allo sforzo di formare
un nuovo governo: ha solo ostacolato questo. Quindi noi ci troviamo con la crisi del
vecchio, ma anche con l’incapacità del nuovo a proporre una valida alternativa.
D.
- Il presidente ha raggiunto 740, quindi un’assoluta maggioranza, e senza dubbio una
figura autorevole: poteva essere questa un’occasione per un cambiamento, per nomi
nuovi?
R. - Certamente poteva esserlo! Qui è, appunto, l’inadeguatezza delle
forze politiche: qui noi ci scontriamo con un problema che è il frutto di venti anni
di Seconda Repubblica, basata sulla contrapposizione delle forze, sulla lacerazione
del Paese. Nel momento in cui il Paese ha bisogno di una figura che rappresenti tutti,
che sia il cardine del sistema politico istituzionale, la macchina della politica
ha un’empasse: non riesce a identificare questa figura, non riesce a proporre questo
centro rispetto cui - ripeto - si sono forse maturate attese persino eccessive. Quindi
non è il problema di un momento, ma è il risultato di venti anni che hanno caricato
il presidente della Repubblica di una importanza che prima non aveva e, al tempo stesso,
non hanno prodotto - questi venti anni - una figura in grado di svolgere questo compito,
che è sempre più importante e che è sempre più difficile. Ecco dunque che si tratta
di ripensare il sistema politico, di rilanciarlo con un collegamento nuovo, forte,
originale: qui certamente va colto lo stimolo della novità, l’esigenza del rinnovamento
generazionale, la capacità di parlare un linguaggio nuovo. Tutto questo è certamente
molto importante, ma tutto questo non è ancora coagulato in una proposta politica
nuova e adeguata, perché il Movimento 5 Stelle è ancora protesta, ma non proposta.
E’
la prima volta nella storia della Repubblica italiana che un Presidente riceve la
richiesta di ricandidarsi per un secondo settennato, periodo che i costituzionalisti
definiscono congruo per lo svolgimento di un incarico. E’ dunque un passaggio unico.
Ma cosa prevede in merito la legge e quale procedura ne seguirà? Gabriella Ceraso
lo ha chiesto Enzo Balboni Docente di Diritto costituzionale alla Cattolica
di Milano:
R. – E’ la prima
volta che accade. Non è previsto il divieto di rielezione, quindi - tacendo la Costituzione
su questo punto - tutti ritengono che il Presidente della Repubblica possa essere
ricandidato e rivotato. In questo caso, di fronte a questo sfacelo e di fronte ad
una richiesta corale – anche se non unanime – Napolitano ha, credo lodevolmente, accettato
di sacrificarsi. È tornato in vigore quel principio della legge romana che dice: “La
salvezza della Repubblica sarà la suprema legge dello Stato”.
D. – Si svolge
tutto nella stessa maniera, o c’è qualcosa di diverso?
R. – Si svolge tutto
nella stessa maniera: lui accetterà, dovrà accettare la nomina, poi farà il giuramento
davanti alle Camere riunite ed in quel messaggio - alle Camere e alla Nazione - illustrerà
le sue motivazioni e credo che stabilirà anche i confini ed i limiti della sua attività
presidenziale. Tutto però si svolgerà regolarmente in modo che lui abbia tutti i pieni
diritti e piena responsabilità. Da lui si attenderà che la salvezza della Repubblica
sia conquistata e, dopo il cambiamento della legge elettorale ed alcune norme economiche
fondamentali, penso che darà le dimissioni, ma avendo già un governo in carica ed
una nuova legge elettorale che ci faccia finalmente ripartire.
D. – Potrebbe
pensare ad un “governo di scopo”, un “governo del Presidente”…
R. – Credo che
lui chieda un governo di larghe responsabilità, non credo di larghe imprese. Il fatto
che abbia voluto che gli venisse chiesto dai leader dei maggiori schieramenti – escludo
Grillo che si è chiamato fuori – significa che lui impegna costoro per il tempo necessario
– un minimo di un anno, 15 mesi – a stare uniti a qualunque costo. Quindi, naturalmente
si vedrà, molto più di prima, la mano del Presidente della Repubblica anche nella
scelta dei ministri.
D. – Beppe Grillo ha detto che questo è un “colpo di Stato”.
Ha senso?
R. – No. Sono parole pericolose ed è gravissimo che vengano usate
per di più nei confronti di un democratico come Giorgio Napolitano, che non ha certamente
voluto questa situazione. È stato costretto ad assumerla per l’incapacità di tutte
le forze politiche e per il fatto che il Movimento 5 stelle da solo non era in grado
di produrre nessuna maggioranza idonea. Quindi, è gravissimo che vengano usate queste
parole. Spero che gli elettori sappiano distinguere tra quello che è propaganda e
quello che è serietà nel gestire le istituzioni.
Prima del si’ di Napolitano,
stamattina il vescovo Giancarlo Bregantini, a capo della Commissione Episcopale per
i problemi sociali, si era augurato che Napolitano “prendesse in mano la situazione”
affinché il mondo politico facesse “una scelta di vera dignità e di grande responsabilità”.
Ma sentiamo l’appello di monsignor Bregantini al microfono di Alessandro Guarasci:
R. – Sentiamo
sempre più necessario rivolgere un disperato appello alla serietà e alla capacità
di cogliere il gusto del bene comune: che siano capaci di responsabilità e di dignità!
D.
– Questo perché il Paese sta in qualche modo o rischia quantomeno di affondare, la
povertà aumenta e le persone sono sempre più in difficoltà?
R. – Soprattutto
si sente la differenza abissale tra i problemi veri della gente e il gridare di qualcuno
o l’essere muro a muro. Le parole che sono state usate, in questi giorni, sono incapaci
di cogliere il dramma che sale dalla gente comune, dal Paese. Non si può giocare così!
Non ci sono colpevoli qua o là, ma è la mentalità: cioè la politica non coglie il
senso di responsabilità; la politica che non sa dire “stringiamoci perché il bene
di tutti, viene prima del bene mio”. La dottrina sociale della Chiesa dice con chiarezza:
prima viene il nostro, poi viene il mio; solo difendendo il nostro, io difendo il
mio. Stamattina abbiamo a lungo pregato nelle Lodi, recitando il Cantico del Libro
della Sapienza: “Dammi la sapienza che siede accanto a Te e non mi escludere dal numero
dei tuoi figli”. Abbiamo dedicato questa preghiera espressamente al Parlamento italiano.