Boston: un vero arsenale in casa dei presunti attentatori ceceni. Avevano altri obiettivi
Un team di esperti in terrorismo e' in attesa di interrogare il sospetto attentatore
ceceno della maratona di Boston, arrestato venerdi', dopo l'uccisione, il giorno prima,
del fratello. Il diciannovenne resta in gravi condizioni e sotto sedazione in ospedale.
Intanto un vero arsenale ritrovato dalla polizia nella loro abitazione fa supporre
che i due fossero pronti ad attaccare altri obiettivi. Alle vittime e ai feriti di
Boston è andato ieri il ricordo dei maratoneti che hanno corso a Londra tra imponenti
misure di sicurezza. Tra Washington e Mosca intanto ribadita la volontà comune di
cooperare sul fronte antiterrorismo, ma per il presidente Obama mancano ancora tante
risposte e c'è il rammarico che i due presunti attentatori siano crescuiti negli Stati
Uniti. Come spiegare allora quanto accaduto? Benedetta Capelli lo ha chiesto
ad Andrea Margeletti, analista e presidente del Centro Studi Internazionali:00:03:35:90
R.
– E’ quello che è già avvenuto in altri Paesi europei. Basti pensare alla Francia
o la Gran Bretagna, dove cittadini di quei Paesi hanno deciso di immolarsi, di compiere
azioni terribili contro i loro connazionali. La realtà dei fatti è che noi, spesso
in maniera presuntuosa, pensiamo di vivere nel migliore dei mondi possibili. Ma non
tutto la pensano come noi; e non la pensano come noi cittadini che hanno fatto i nostri
stessi passaggi, che hanno la nostra stessa storia e la nostra stessa educazione.
Esiste, in alcuni contesti, un odio radicato, un desiderio di partecipare ad una progettualità
diversa da quella che noi quotidianamente viviamo, che deve porci anche delle domande.
D.
- In questo episodio di Boston c’è una matrice terroristica, ma di quale terrorismo
stiamo parlando?
R. - Esistono due chiavi di lettura. Una sicuramente è quelle
internazionale, del terrorismo a matrice radicale. Noi ci focalizziamo spesso, troppo,
sulla realtà dei talebani o quella araba. In verità ci sono tante altre sfumature,
tanti altri gruppi - pensiamo soltanto a quelli caucasici - che utilizzano la bandiera
della religione per compiere atti terroristici. Ma esiste anche una chiave di lettura
interna. Nascere in un contesto e berne le tradizioni, non necessariamente rende immuni
da influenze malefiche
D. - Siamo di fronte anche ad “un terrorismo fai da
te”?
R. - Assolutamente sì. I cosiddetti “lupi solitari”, le realtà che non
partecipano a campi di addestramento, che sono a volte spettatori passivi di blog,
sono assai difficili da poter intercettare e da poter penetrare dal punto di vista
informativo. È la nuova grande sfida dei servizi d’intelligence delle forze dell’ordine
e della polizia. Dall’altra parte, bisogna ricordare sempre di più che la Rete è un
contenitore dove c’è di tutto; c’è molto di buono, ma è anche un’agorà universale
dove si possono incontrare persone di idee, che non necessariamente sono in linea
con il rispetto dei diritti umani e dei diritti inalienabili della persona.
D.
- Al di là di questi episodi, qual è oggi il reale pericolo per gli Stati Uniti?
R.
- È naturalmente il Paese più potente del mondo con maggiori responsabilità ed è –
naturalmente - esposto più di altri a chi vuole contrastare “l’american way of life”.Dall’altra parte, c’è una forte collaborazione tra gli Stati Uniti e tanti Paesi
europei, ma non solo. Ricordiamoci che lo smantellamento di Al Qaeda nella sua forma
tradizionale, quella dell’11 settembre, non sarebbe stata possibile senza la collaborazione
prima di tutto dei servizi di sicurezza e d’intelligence dei Paesi islamici e non
soltanto arabi.
D. - I due presunti attentatori sono ceceni: quali sono le
tensioni che percorrono quest’area di mondo?
R. – È un luogo doloroso, ed è
per questo che la collaborazione anti–terroristica tra Stati Uniti e Russia, da quel
punto di vista, è sempre stata un po’ a singhiozzo perché il rispetto dei diritti
umani da quelle parti – da parte di tutti, non solo da parte dei ribelli, dei rivoltosi
– è un po’ labile. È una terra di confine nell’accezione più terribile del termine.
Molti ceceni hanno combattuto, e continuano a combattere anche in Afghanistan. Questo
vuol dire che il desiderio di esportare la loro lotta, non è soltanto limitata alle
zone che ritengono come loro contesto naturale.