20 anni fa la morte di Don Tonino Bello, testimone di una "Chiesa del grembiule"
20 anni fa, il 20 aprile del 1993, scompariva stroncato da un tumore, mons. Antonio
Bello, per tutti “don Tonino", vescovo di Molfetta e presidente di Pax Christi
negli anni '80. Cinque anni fa l’apertura della Causa di Beatificazione. Amante della
sua terra, il Salento, che tanto lo ha amato, don Tonino Bello ha lasciato alla Chiesa
scritti e insegnamenti ispirati agli ideali che lo hanno guidato: la carità, la pace,
la giustizia sociale, per i quali mise a rischio la sua stessa vita. Uomo di contemplazione
e uomo d’azione: così lo ricorda il suo collaboratore in Pax Christi a Molfetta, donSalvatore Leopizzi. L’intervista è di Gabriella Ceraso:
R. - L’uomo
era straordinario nella sua normalità e quella normalità la si leggeva nel gesto umile
della carezza ai bambini, nel mettere a proprio agio qualsiasi interlocutore, o di
accogliere, di aprire anche la porta del suo vescovado. Questa umanità semplice, genuina
che lui ha respirato nella sua casa, dalla sua mamma, unita alla trasmissione della
fede, hanno strutturato l’anima grande di don Tonino. Appassionato del Vangelo, il
Vangelo a contatto con gli umili, anzi lui diceva che il Vangelo ce lo raccontano
i poveri. Don Tonino era l’uomo della condivisione, della solidarietà, dell’attenzione
a chi fa più fatica, agli ultimi.
D. - Questa era anche la sua idea di Chiesa:
non una Chiesa del potere, ma una Chiesa definita con l’espressione bellissima del
“grembiule”…
R. - La Chiesa del “grembiule” che lascia, o tralascia i segni
del potere e sceglie il potere dei segni. Questa sua capacità di linguaggio originale
ed efficace con cui ci ha detto che alla Chiesa non compete la logica mondana, dobbiamo
essere trasparenza di Gesù Cristo. Dobbiamo servire, dobbiamo avere il “grembiule”,
unico paramento liturgico menzionato dal Vangelo - diceva lui - e che non gode di
buona fama nelle nostre sagrestie e dovremmo invece rimetterlo al primo posto. Stola
e grembiule sono il dritto ed il rovescio dello stesso paramento sacro: la stola che
ci fa ministri del Vangelo ed il grembiule che ci fa “lavapiedi del mondo”, lui usava
questa parola.
D. - Nel suo motto episcopale c’è un po’ la sintesi di tutto
questo programma: “Ascoltino gli umili e si rallegrino”…
R. - Ecco l’altra
dimensione, quella festosa della fede del cristianesimo e l’ha fatta trasparire nonostante
la sofferenza per l’incomprensione nei nostri ambienti ed anche nella società civile.
Certamente era un uomo non sempre condiviso, perché portava il Vangelo e portava lo
Spirito, quello Spirito - come ci ricorda Papa Francesco - che a volte dà fastidio.
D.
- Quello che lui annunciava, lo viveva in prima persona…
R. - Era un uomo che
dalla contemplazione passava sempre all’azione. “Contemplattivi” infatti è una delle
parole che lui ci ha lasciato come missione. Lui stesso diceva che dobbiamo saper
anche denunciare le situazioni di ingiustizia, la violazione dei diritti umani…
D.
- Per lui la pace non poteva allontanarsi dall’idea di una giustizia sociale…
R.
- Certo. Come possiamo accostare la giustizia alla guerra? Ci chiedeva e si chiedeva:
“Come possiamo ancora parlare di una guerra giusta?”. È un “principio di adulterio”
- lo definì una volta - "solo la pace è giusta". Questo per dire che noi dalla memoria
eversiva della Croce dobbiamo trovare le sorgenti del nostro impegno quotidiano a
favore della pace, della giustizia e della salvaguardia del Creato.
D. - Ci
sono tante cose che ricordano Papa Francesco. Lei che ne pensa?
R. - Penso
davvero che questo spirito nuovo che ha animato don Tonino, anima Papa Francesco.
Qualcuno mi ha detto addirittura: “E’ come se don Tonino fosse diventato Papa”; perché
hanno letto il Vangelo e quel Vangelo l’hanno ritrovato nella vita concreta, dei poveri
nelle periferie. Hanno respirato un Vangelo genuino “sine glossa” - diceva - “senza
misura, senza sconti”.
D. - C’è un messaggio particolare che vi ha lasciato
don Tonino, che è anche il suo ricordo personale?
R. - La sintesi estrema di
tutto il suo messaggio - pronunciata proprio negli ultimi giorni, fino alla Messa
che abbiamo celebrato il 20 aprile nella sua camera - e che riassume tutta la sua
vita e le sue passioni, e che per noi può essere ancora attuale, sono queste tre frasi
lapidarie scolpite anche nel cimitero di Alessano: “Ama la gente, ama i poveri e Gesù
Cristo. Il resto non conta nulla”.