Centrafrica: il premier chiede aiuti esterni per la popolazione allo stremo
In un messaggio radiotelevisivo diffuso martedì sera, il primo ministro centrafricano
Nicolas Tiangaye, ha chiesto l’aiuto della Francia e della Forza multinazionale dell’Africa
centrale (Fomac) per ristabilire la sicurezza nel Paese. “Numerose famiglie hanno
subito perdite umane e saccheggi. Sono fatti che ledono la coesione sociale e il patto
di unità nazionale. Di fronte a questa situazione grave, chiedo l’aiuto dei nostri
partner, in qualità di forze imparziali, per svolgere le operazioni di sicurezza nella
capitale e nelle regioni ancora instabili” ha dichiarato il capo del governo di unità
nazionale, membro dell’opposizione all’ex Presidente François Bozizé e difensore dei
diritti umani. La richiesta di aiuto esterno formulata da Tiangaye è giunta dopo gli
scontri dello scorso fine settimana in alcuni quartieri di Bangui, conclusi con un
bilancio compreso tra 13 e 20 morti e decine di feriti. Negli ultimi due giorni sono
anche rimasti uccisi nelle violenze sette esponenti della coalizione ribelle Seleka
(alleanza in lingua sango) dopo essere stati disarmati da truppe della Fomac. Poche
ore prima il nuovo presidente, l’ex capo ribelle Michel Djotodia, aveva annunciato
una serie di misure per lottare contro l’insicurezza e “cacciare da Bangui gli intrusi,
cioè elementi incontrollabili della Seleka e uomini armati da Bozizé”. Djotodia, al
potere dal 24 marzo con un colpo di stato, ha promesso il dispiegamento di rinforzi
– 500 poliziotti e 500 gendarmi – oltre ad un rafforzamento della presenza della Seleka
su tutto il territorio nazionale “a tutela delle persone e dei beni”. Inoltre il neo
Presidente ad interim, in carica per una transizione dalla durata prevista di 18 mesi,
prevede di “chiedere ai nostri fratelli ciadiani di aiutarci inviando truppe per sostenerci”.
Il portavoce dell’esecutivo Crépin Mboli-Goumba ha invece riferito che le autorità
centrafricane hanno chiesto ai paesi della Comunità economica dell’Africa centrale
(Ceeac) di mettere a disposizione 1.000 soldati per ristabilire la sicurezza. Di questo
e degli ultimi sviluppi politico-istituzionali dovrebbe occuparsi il vertice straordinario
dell’organismo regionale in agenda per domani a N’Djamena. “Questi sono tutti discorsi
scollegati dalla realtà, sono promesse che finora sono state disattese. C’è una separazione
totale tra la gente e il nuovo potere della Seleka. Djotodia è solo un burattino che
non ha alcun controllo sui ribelli che, al 90% vengono dal Ciad e dal Sudan, parlano
arabo e sono molto ben armati” dice alla MISNA da Bangui una fonte locale della società
civile che chiede l’anonimato per motivi di sicurezza. “La popolazione vive nella
paura e nell’incertezza, soprattutto al calare della notte. C’è il coprifuoco, quindi
a circolare sono solo gli uomini della Seleka che entrano nelle case per saccheggiare,
picchiare e stuprare. Non bastano le truppe della Fomac. Siamo stanchi e ci sentiamo
abbandonati” prosegue l’interlocutore dell'agenzia Misna, aggiungendo che “al centro
di Bangui c’è una parvenza di vita e di calma, con la gente che alla mattina va al
mercato e poi si chiude dentro casa”. Sulle ultime violenze che hanno dilaniato il
quartiere popolare di Boy-Rabé (nord di Bangui), ex roccaforte di Bozizé, la fonte
locale tiene a precisare che “gli abitanti hanno soltanto cercato di difendersi dai
ribelli e laddove hanno delle armi a disposizione, le hanno utilizzate per proteggere
persone e beni”. Secondo l’interlocutore appare poco credibile la giustificazione
fornita dal potere in base alla quale si è trattato di un’operazione di disarmo finita
male. “Come mai i ribelli che ricercavano delle armi uscivano dalle case di povera
gente con frigo, sedie e utensili da cucina? C’è qualcosa che non quadra: in realtà
continuano i saccheggi laddove fino a pochi giorni fa la Seleka non era ancora riuscita
a entrare, cioè nell’ex bastione di Bozizé” conclude la fonte della Misna. (R.P.)