Somalia. Mons. Bertin torna a Mogadiscio: segni di speranza, sta rinascendo il Paese
Il Fondo Monetario Internazionale, dopo 22 anni di completa assenza di relazioni,
ha riconosciuto il governo della Somalia, una scelta storica che apre la strada al
sostegno finanziario del Paese considerato dal 1991 uno Stato fallito. “A Mogadiscio
si cominciano a vedere segni di speranza”: commenta mons. Giorgio Bertin, vescovo
di Gibuti e amministratore apostolico di Mogadiscio. Resta comunque difficile la situazione
umanitaria e anche le istituzioni soffrono di una certa instabilità. Ascoltiamo il
presule al microfono della nostra collega francese, Hélène Destombes:
R. - È un
cambiamento che si nota immediatamente per il fatto che nella capitale si può circolare
liberamente, anche se per noi stranieri è sempre necessaria una scorta armata. Però,
non ci sono più i posti di blocco - come ero abituato sei anni fa e anche negli anni
precedenti - e soprattutto ci sono segni di speranza perché l’istituzione statale
sta rinascendo anche se rimane ancora fragile. Sebbene questa sia riconosciuta a livello
internazionale, a livello locale deve ancora potersi esprimere ed essere accettata
dalla popolazione.
D. - Qual è oggi la situazione umanitaria a Mogadiscio?
C’è un inizio di ricostruzione?
R. - Sì. C’è un inizio di ricostruzione. Il
problema principale - secondo me - è che le attività pubbliche - legate per esempio
alla sanità, all’istruzione – ancora non esistono perché, in effetti, tutto è stato
distrutto da 22 anni di guerra civile. Ma ci sono dei segni favorevoli come la presenza
di diverse organizzazioni umanitarie, delle agenzie Onu e degli stessi turchi. Durante
il mio viaggio, mi sono associato ad un’organizzazione italiana con la quale abbiamo
studiato diverse attività che possono essere sviluppate soprattutto per quanto riguarda
la ricollocazione delle persone che, in passato, avevano abbandonato le loro zone,
per aiutarle a ritornare favorendo delle attività agricole.
D. - Dei passi
avanti, ma una situazione ancora complessa. Lei, dopo questa visita a Mogadiscio è
piuttosto ottimista o resta ancora molto prudente?
R. - Resto prudente ma con
ottimismo, perché in effetti in questi venti anni mi sembra che siano stati fatti
dei passi importanti per la rinascita dello Stato, per il ritorno ad una certa normalizzazione.
Ci sono diversi segni di ripresa anche a livello economico. Naturalmente, il compito
è immenso! La strada è tutta in salita, però si è cominciato a salire lungo questa
strada!
D. - Oggi, quale potrebbe essere il rischio per questo nuovo governo:
le divisioni interne o le forze esterne? Il Paese ha ancora bisogno di un sostegno
internazionale?
R. - Senz’altro. Il Paese ha bisogno di un sostegno internazionale
da un punto di vista economico, politico e militare. Il nuovo Stato somalo si chiama
Repubblica federale somala. Il problema è come coniugare, come mettere insieme una
vera autorità centrale con le autonomie regionali. Il rischio potrebbe celarsi dietro
al fatto che queste ultime possano essere pilotate dall’esterno.