2013-04-12 14:48:37

Prima storica visita di Bashir nel Sud Sudan: segni di distensione tra Juba e Khartoum


Storica visita del presidente sudanese Omar Hassan al-Bashir a Juba, capitale del Sud Sudan; la prima da quando i due Paesi si sono separati, nel luglio del 2011. Ad accoglierlo, al suo arrivo, il leader di Khartoum ha trovato l'omologo Salva Kiir, ex comandante ribelle e suo acerrimo nemico durante gli anni della guerra civile. Una circostanza, questa, impensabile solo un anno fa, quando ancora si combatteva lungo la frontiera comune, e nelle aree rivendicate da ambedue i governi. Sull’importanza di questa visita, Salvatore Sabatino ha intervistato Gianni Ballarini, della rivista dei comboniani “Nigrizia”:RealAudioMP3

R. – L’importante è che i due presidenti si vedano, s’incontrino per la prima volta, dopo le tensioni dei mesi scorsi e, quindi, si rasserenino i rapporti. Questo anche grazie all’accordo stipulato ad Addis Abeba nel marzo scorso, che ha messo in moto nuove energie e nuove speranze.

D. – Proprio questi accordi, che sono stati firmati ad Addis Abeba, hanno raggiunto risultati molto importanti, però molte delle questioni sono rimaste irrisolte. Quali?

R. – Intanto, hanno risolto una questione importante, che è quella riguardante il petrolio. Dal gennaio 2012, infatti, il Sud Sudan aveva bloccato la fornitura del petrolio al Sudan e quindi sia il Sud Sudan che il Sudan soffrivano terribilmente questa situazione, queste condizioni. Adesso il petrolio, da una decina di giorni, è ritornato a fluire verso il Nord. Le questioni importanti restano quelle precedenti all’indipendenza del Sud Sudan: fondamentalmente la questione Abyei, che è il luogo con la massima produzione di petrolio e che viene contestato da parte del Sud, perché non vuole che sia considerato del Nord, e da parte del Nord appunto che vuole tenerlo. I confini di Abyei restano ancora totalmente irrisolti.

D. – Il Darfur - altra questione molto rilevante – oggi come si inserisce in questo contesto di difficile normalizzazione?

R. – Il 7 e 8 aprile c’è stato questo incontro a Doha, in Qatar, dove i donatori internazionali hanno finanziato con 3 miliardi e mezzo la situazione in Darfur. Il Darfur, in questo momento, sta riesplodendo; tra l’altro sono passati 10 anni nel febbraio scorso dall’inizio del conflitto. C’è stata recentemente da parte di Bashir una mano tesa nei confronti dei ribelli del Darfur, con l’annuncio della liberazione dei detenuti politici, fra cui anche alcuni darfuriani, dalle carceri di Khartoum. Questo è stato interpretato anche come un segnale di distensione. Certo è che i conflitti che si sono registrati, soprattutto nel Nord e Darfur, nelle ultime settimane, alimentano tensioni e fanno capire che la situazione non è ancora assolutamente risolta e che appunto Khartoum ha un altro nodo con la parte occidentale del suo Paese.

D. – Tutta questa instabilità causa ovviamente grandissime difficoltà alla popolazione, che vive in un contesto davvero drammatico. Oggi come si può definire la situazione in Sudan e Sud Sudan?

R. – Nel Sud Sudan la situazione è molto grave, nel senso che, a causa anche del mancato introito dei proventi petroliferi, che è la prima fonte di reddito, a parte gli aiuti internazionali, del Sud Sudan, la popolazione ha sofferto terribilmente. Il governo non aveva risorse per coprire i bisogni elementari. Per quanto riguarda il Nord, anche lui ha sofferto la mancanza dell’arrivo del petrolio, perché con l’operazione dal Sud i tre quarti dei proventi petroliferi sono andati appunto al Sud e non sono rimasti al Nord. C’è, inoltre, una situazione di "primavera sudanese" incipiente, nel senso che ci sono le prime manifestazioni di studenti che si lamentano per le condizioni, per la situazione che vivono, di mancanza di libertà e di economia assolutamente fragile. Certo, il regime mette a tacere tutto questo e quindi è anche difficile capire la reale situazione.

D. – La visita di Bashir è considerata a questo punto una tappa cruciale in questo lento, ma progressivo percorso verso l’uscita dalla crisi. Che cosa possiamo immaginare per il prossimo futuro?

R. – Innanzitutto speriamo che si allentino le tensioni al confine fra il Nord e il Sud. Ci sono due Stati del Nord – il Sud Kordofan e il Nilo Azzurro – che sono attraversati dalla guerriglia e da conflitti alimentati anche dal Sud con i movimenti ribelli all’interno, che si ritengono, in qualche modo, oppressi e defraudati di un pensiero che loro avevano, cioè quello di restare uniti al Sud. Quindi, le tensioni che si sono scaricate lungo i confini tra Nord e Sud sono il problema principale, sono la priorità. L’accordo di Addis Abeba con la smilitarizzazione dei confini va anche in questa direzione, quella del rasserenare i rapporti anche dal punto di vista militare. Certo è impensabile che si possano sanare tutte le tensioni o ricucire tutte le fratture che ci sono in questo momento fra i due Paesi. E’, però, un segnale importantissimo.







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