Prende il via l’Osservatorio Media Etica dell’Unione Stampa Cattolica Italiana
L’Ucsi, Unione Stampa Cattolica Italiana ha lanciato l’Osservatorio di Media Etica,
con il dibattito dedicato all’informazione politica che si è tenuto mercoledì scorso
a Roma, presso la Federazione Nazionale della Stampa Italiana. All’incontro hanno
preso parte il rettore dell’Università Suor Orsola di Napoli, D’Alessandro, il professore
Mazzoleni dell’Università di studi di Milano, i direttori di "Il Mattino", "Rainews",
"Avvenire" e padre Occhetta, scrittore di "Civiltà Cattolica". A seguire il dibattito
c'era Fausta Speranza:
Un working progress di riflessioni: così
il presidente nazionale dell’Ucsi, Andrea Melodia, presenta l’Osservatorio Media Etica.
Un percorso di riflessione che l’Ucsi pensava da tempo e che toccherà tematiche ogni
volta diverse. La prima tocca il nervo sensibile del rapporto tra giornalismo e politica.
Termini come autonomia, competenza sembrano mortificati da circoli viziosi di un’informazione
che non soddisfa, tra spettacolarizzazione e assenza di domande vere agli interlocutori.
Il problema vero - dice Monica Maggioni direttore di Rainews - non è la rivoluzione
data da Internet, ma la perdita di credibilità di tanta parte della classe giornalistica".
"Negli Usa – sottolinea – i giornalisti chiedono conto ai politici delle promesse
fatte, restano vigilanti". Il direttore de "Il Mattino", Alessandro Barbano,
parla di “troppa aria fritta” nei palinsesti di giornali e soprattutto tv e di vizio
di “tatticismo”. Ai nostri microfoni lo spiega così:
R. – Innanzitutto, il
giornalismo è malato di ipertrofia perché c’è una domanda di informazione politica
che è inferiore all’offerta di informazione politica. E’ chiaro che poi l’overdose
di offerta politica contribuisce a tenere su la domanda. Però, i cittadini hanno bisogno
anche di altro. E poi, certamente, è un giornalismo che intreccia il lessico della
politica e gli interessi della politica, che finiscono per diventare gli interessi
del giornalismo. Questa è una patologia che oggi non è più ascrivibile al condizionamento
da parte dei poteri, ma è ascrivibile al fatto che i giornalisti politici frequentano
e vivono lo stesso sistema e quindi declinano nelle stesse forme le domande - o quelle
che credono essere le domande - dei cittadini. Si vede, per esempio, di fronte alle
inconcludenze e al tatticismo di una crisi che va avanti da tanto tempo come il giornalismo
faccia fatica a differenziarsi e a creare elementi di contraddizione, ma finisca per
seguire appunto le singole tappe di questo inconcludente tatticismo che ha lasciato
le aule del parlamento per trasferirsi nella "repubblica virtuale", nella repubblica
mediatica.
D. – La via, però, non può essere quella di far fuori i giornalisti,
disprezzarli, non incontrarli e rifiutare di parlarci…
R. – No. La via non
è questa. Ma guardando a quello che dobbiamo fare noi giornalisti, per quello che
ci riguarda, noi dovremmo cercare di porci più domande e di verificare quanto nel
lessico e nella comunicazione politica tocchi gli interessi dei cittadini.
Il
direttore di "Avvenire", Marco Tarquinio, racconta l’impegno a distinguersi con notizie
di profondo impatto sociale che non trovano molto spazio sui media perché non si prestano
alla spettacolarizzazione ma che – sottolinea – invece la gente vorrebbe di più. Il
gesuita padreFrancesco Occhetta, che dell’Ucsi è assistente spirituale,
raccomanda ai giornalisti di essere “contemplativi”:
R. – Perché la velocità
del tempo e delle azioni, quindi la sovrapposizione anche di tante informazioni, ha
bisogno – per non farci confondere – di fermarci e di andare oltre, di vedere cosa
c’è alla radice, in profondità. Lì c’è in gioco la democrazia. Lì possiamo capire
quale modello d’uomo vogliamo servire, quale società vogliamo vivere, come vogliamo
convivere. Altrimenti, sono frecce che ci arrivano e ci paralizzano. Questo è un lavoro
che possiamo fare solo scegliendo.
D. – Di fronte alla disaffezione palpabile
nei confronti della politica, ma anche nei confronti di un certo giornalismo o dei
giornalisti, che cosa fare da giornalisti responsabili?
R. – Ci sono molti
giornalisti responsabili. Io propongo di raccontare i territori, le politiche che
escono da lì, di raccontare lo stato sociale e di promuoverlo, più che lo stato liberale
che di per sé è in crisi con la democrazia rappresentativa, di cui ha sganciato le
dimensioni. E di capire verso dove stiamo orientando l’uomo nel servizio al bene comune.
Questo mi sembra sia ancora prioritario per noi. Molti giornalisti lo fanno. Ai giornalisti
più potenti e prepotenti, invece, spesso questo non interessa.
Fermarsi a riflettere
per un’informazione davvero all’altezza delle urgenze politiche attuali. Con un interrogativo:
come formare i giornalisti di domani? Lo chiediamo al rettore dell’Università Suor
Orsola, che ha tra i suoi corsi la scuola di giornalismo, Lucio D’Alessandro:
R. – I giornalisti di domani devono avere un arco molto ampio davanti a loro
dell’idea di politica. Un arco in cui ricordare che nella politica c’è una varietà
di domande alle quali bisogna rispondere, un arco che non riguardi solo le istituzioni
– i cosiddetti "palazzi" – ma riguarda anche i molti luoghi e le molte piazze e anche
i vicoli della vita di ciascuno. Un arco anche geografico ampio: in genere, i nostri
giornalisti guardano un po’ troppo al cortile di casa nostra, mentre c’è un grande
mondo che ci coinvolge e del quale siamo parte e del quale il cittadino non può non
sentirsi fortemente parte. Un arco anche storico, di profondità storica: il giornalista
dev’essere capace di mettere in prospettiva storica le cose di cui parla. E infine,
un arco valoriale, quell’arco che ogni tanto fa scattare quel sistema di campanelli
per cui qualcosa va o qualcosa non va, o comunque su qualcosa c’è allarme.