2013-04-11 15:39:58

Prende il via l’Osservatorio Media Etica dell’Unione Stampa Cattolica Italiana


L’Ucsi, Unione Stampa Cattolica Italiana ha lanciato l’Osservatorio di Media Etica, con il dibattito dedicato all’informazione politica che si è tenuto mercoledì scorso a Roma, presso la Federazione Nazionale della Stampa Italiana. All’incontro hanno preso parte il rettore dell’Università Suor Orsola di Napoli, D’Alessandro, il professore Mazzoleni dell’Università di studi di Milano, i direttori di "Il Mattino", "Rainews", "Avvenire" e padre Occhetta, scrittore di "Civiltà Cattolica". A seguire il dibattito c'era Fausta Speranza:

Un working progress di riflessioni: così il presidente nazionale dell’Ucsi, Andrea Melodia, presenta l’Osservatorio Media Etica. Un percorso di riflessione che l’Ucsi pensava da tempo e che toccherà tematiche ogni volta diverse. La prima tocca il nervo sensibile del rapporto tra giornalismo e politica. Termini come autonomia, competenza sembrano mortificati da circoli viziosi di un’informazione che non soddisfa, tra spettacolarizzazione e assenza di domande vere agli interlocutori. Il problema vero - dice Monica Maggioni direttore di Rainews - non è la rivoluzione data da Internet, ma la perdita di credibilità di tanta parte della classe giornalistica". "Negli Usa – sottolinea – i giornalisti chiedono conto ai politici delle promesse fatte, restano vigilanti". Il direttore de "Il Mattino", Alessandro Barbano, parla di “troppa aria fritta” nei palinsesti di giornali e soprattutto tv e di vizio di “tatticismo”. Ai nostri microfoni lo spiega così:

R. – Innanzitutto, il giornalismo è malato di ipertrofia perché c’è una domanda di informazione politica che è inferiore all’offerta di informazione politica. E’ chiaro che poi l’overdose di offerta politica contribuisce a tenere su la domanda. Però, i cittadini hanno bisogno anche di altro. E poi, certamente, è un giornalismo che intreccia il lessico della politica e gli interessi della politica, che finiscono per diventare gli interessi del giornalismo. Questa è una patologia che oggi non è più ascrivibile al condizionamento da parte dei poteri, ma è ascrivibile al fatto che i giornalisti politici frequentano e vivono lo stesso sistema e quindi declinano nelle stesse forme le domande - o quelle che credono essere le domande - dei cittadini. Si vede, per esempio, di fronte alle inconcludenze e al tatticismo di una crisi che va avanti da tanto tempo come il giornalismo faccia fatica a differenziarsi e a creare elementi di contraddizione, ma finisca per seguire appunto le singole tappe di questo inconcludente tatticismo che ha lasciato le aule del parlamento per trasferirsi nella "repubblica virtuale", nella repubblica mediatica.

D. – La via, però, non può essere quella di far fuori i giornalisti, disprezzarli, non incontrarli e rifiutare di parlarci…

R. – No. La via non è questa. Ma guardando a quello che dobbiamo fare noi giornalisti, per quello che ci riguarda, noi dovremmo cercare di porci più domande e di verificare quanto nel lessico e nella comunicazione politica tocchi gli interessi dei cittadini.

Il direttore di "Avvenire", Marco Tarquinio, racconta l’impegno a distinguersi con notizie di profondo impatto sociale che non trovano molto spazio sui media perché non si prestano alla spettacolarizzazione ma che – sottolinea – invece la gente vorrebbe di più. Il gesuita padre Francesco Occhetta, che dell’Ucsi è assistente spirituale, raccomanda ai giornalisti di essere “contemplativi”:

R. – Perché la velocità del tempo e delle azioni, quindi la sovrapposizione anche di tante informazioni, ha bisogno – per non farci confondere – di fermarci e di andare oltre, di vedere cosa c’è alla radice, in profondità. Lì c’è in gioco la democrazia. Lì possiamo capire quale modello d’uomo vogliamo servire, quale società vogliamo vivere, come vogliamo convivere. Altrimenti, sono frecce che ci arrivano e ci paralizzano. Questo è un lavoro che possiamo fare solo scegliendo.

D. – Di fronte alla disaffezione palpabile nei confronti della politica, ma anche nei confronti di un certo giornalismo o dei giornalisti, che cosa fare da giornalisti responsabili?

R. – Ci sono molti giornalisti responsabili. Io propongo di raccontare i territori, le politiche che escono da lì, di raccontare lo stato sociale e di promuoverlo, più che lo stato liberale che di per sé è in crisi con la democrazia rappresentativa, di cui ha sganciato le dimensioni. E di capire verso dove stiamo orientando l’uomo nel servizio al bene comune. Questo mi sembra sia ancora prioritario per noi. Molti giornalisti lo fanno. Ai giornalisti più potenti e prepotenti, invece, spesso questo non interessa.

Fermarsi a riflettere per un’informazione davvero all’altezza delle urgenze politiche attuali. Con un interrogativo: come formare i giornalisti di domani? Lo chiediamo al rettore dell’Università Suor Orsola, che ha tra i suoi corsi la scuola di giornalismo, Lucio D’Alessandro:

R. – I giornalisti di domani devono avere un arco molto ampio davanti a loro dell’idea di politica. Un arco in cui ricordare che nella politica c’è una varietà di domande alle quali bisogna rispondere, un arco che non riguardi solo le istituzioni – i cosiddetti "palazzi" – ma riguarda anche i molti luoghi e le molte piazze e anche i vicoli della vita di ciascuno. Un arco anche geografico ampio: in genere, i nostri giornalisti guardano un po’ troppo al cortile di casa nostra, mentre c’è un grande mondo che ci coinvolge e del quale siamo parte e del quale il cittadino non può non sentirsi fortemente parte. Un arco anche storico, di profondità storica: il giornalista dev’essere capace di mettere in prospettiva storica le cose di cui parla. E infine, un arco valoriale, quell’arco che ogni tanto fa scattare quel sistema di campanelli per cui qualcosa va o qualcosa non va, o comunque su qualcosa c’è allarme.







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