Giornata Mondiale del Parkinson: puntare su informazione e assistenza
Si è celebrata ieri la Giornata mondiale del Parkinson, nel giorno della nascita dello
scienziato James Parkinson che per primo individuò e studiò questa grave patologia.
Attualmente, sono circa un milione e duecentomila i malati di Parkinson in Europa,
oltre 200 mila in Italia. Sulla specificità di questa patologia e le possibilità di
cura e assistenza, Eliana Astorri ha intervistato la dott.ssa Annarita Bentivoglio,
ricercatore presso l'Istituto di neurologia del Policlinico Gemelli:
R. - E’ una
malattia neurodegenerativa, ovvero le basi patologiche risiedono nella degenerazione
selettiva di un gruppo di cellule nervose che si trovano nella profondità del nostro
cervello, in una zona chiamata “sostanza nera”. Queste cellule sono molto importanti
per il controllo del movimento e quando ne perdiamo una grossa percentuale - superiore
al 60-70% - iniziamo a sviluppare dei sintomi della malattia che James Parkinson ha
descritto nel 1817. Questi sintomi consistono fondamentalmente in una triade, cioè
in un gruppo di tre elementi: il più importante è il rallentamento e la povertà di
iniziativa motoria; secondariamente viene il sintomo più riconoscibile, quello che
le persone identificano più facilmente con la malattia, ovvero il tremore. Coinvolge
più spesso le braccia - ancor più le mani - è un tremore asimmetrico e si verifica
soprattutto a riposo, mentre quando poi le persone attivano mani e muscoli questo
tremore lo vediamo attenuarsi, o addirittura svanire. Il terzo elemento sintomatologico
importante è la rigidità: le articolazioni diventano più rigide e tutto questo insieme
fa sì che le persone si muovano con più difficoltà, anche con qualche difficoltà nel
programmare ed eseguire movimenti.
D. - Si conoscono le cause?
R. -
La causa ultima non si conosce ancora, però negli ultimi anni abbiamo fatto dei progressi
straordinari grazie a forme genetiche che pur rappresentando una minoranza - coinvolgono
meno del 5% della popolazione affetta dalla malattia - sono dei “modelli” in cui noi
stiamo scomponendo la malattia nelle singole proteine coinvolte nel processo degenerativo
e stiamo comprendendo sempre più a fondo i meccanismi che portano alla degenerazione
del sistema. Quindi, speriamo che in un futuro veramente vicino si possano tradurre
in terapie che non siano solo sintomatiche - che vadano cioè a migliorare certamente
la qualità di vita - ma che possano incidere anche sul processo patologico.
D.
- Dietro ad ogni malato di Parkinson, c’è un “caregiver”, un parente che se ne prende
cura. Quali strumenti ha questa persona per affrontare i problemi a cui andrà incontro
il malato?
R. - La prima cosa, secondo me, è l’informazione: troppo spesso
le persone ricorrono alla Rete, senza nessun filtro; vanno direttamente su Internet
e raccolgono informazioni. Come tutti sappiamo, le informazioni che troviamo in Rete
non sempre sono credibili, non sempre sono date da persone realmente competenti. Il
mio invito è quello di rivolgersi sempre alle nostre figure di riferimento, a chi
ha in cura il paziente, per avere informazioni. Credo che l’informazione, la cultura,
sia fondamentale per chi assiste il paziente malato di Parkinson. Credo che il nostro
sforzo negli anni futuri dovrà esser quello di rivolgerci proprio al “sistema-famiglia”,
al “sistema-malato” con i suoi familiari, con i suoi “caregiver”, per offrire la possibilità
di crescere insieme e di pensare ai bisogni di tutti, perché il “caregiver” non è
solamente la persona che dà cura al malato, ma è anche un marito, una moglie, un figlio.
Quindi, cercare di facilitare la comunicazione, la comprensione dei reciproci bisogni
all’interno della famiglia, credo che migliori la qualità di vita in maniera sostanziale.