Pena di morte. Rapporto Amnesty: allarme Cina e Iraq, prosegue trend abolizionista
Nel 2012, sono state seguite condanne a morte in 21 Paesi del mondo, mentre 10 anni
fa erano 28.682 in totale le esecuzioni, due in più rispetto al 2011. Sono i dati
contenuti nell’annuale Rapporto di Amnesty International sulla pena di morte, pubblicato
ieri. Cifre che evidenziano la tendenza globale all’abolizione della pena capitale.
Servizio di FrancescaSabatinelli:
La consapevolezza
è acquisita: la pena di morte è crudele e disumana, degradante per chi la commina.
Inoltre è dimostrato: è assolutamente inefficace, non è un deterrente. Amnesty International,
nel suo Rapporto 2012 sulle esecuzioni nel mondo, ci dice che: “Nonostante, alcuni
deludenti passi indietro, la tendenza globale verso l’abolizione della pena capitale
è proseguita”. Il freno agli entusiasmi lo hanno posto Paesi che hanno ripreso le
esecuzioni, in Gambia dopo quasi 30 anni sono state uccise nove persone, e poi ancora
Pakistan, Giappone, India, dove a novembre è stata eseguita la prima condanna a morte
dal 2004. Resta però un dato: nel mondo solo un Paese su dieci ricorre alla pena di
morte. CarlottaSami, direttrice di Amnesty International Italia:
"I
numeri danno ragione a chi come Amnesty internazionale da più di 50 anni sta lavorando
incessantemente contro la pena di morte nel mondo perché dimostrano che inesorabilmente
la pena di morte è in caduta libera. Vediamo però che ci sono alcuni Paesi che presentano
una recrudescenza. India e Giappone che non commettevano più esecuzioni hanno ripreso
nel 2012. Poi, ci sono alcuni Paesi, come la Cina, che destano molta preoccupazione
perché continuano a stendere un velo di segretezza assoluta sulle esecuzioni capitali
e abbiamo contezza del fatto che in Cina ne siano state commesse migliaia. Altri Paesi,
che per noi sono preoccupanti, sono quelli dell’area del Golfo dove c’è una fortissima
repressione della libertà di espressione e dove vediamo, come in altri posti, che
la pena di morte viene usata anche per motivi politici".
Tre Paesi del
Golfo, Iran, Iraq e Arabia Saudita, sono tra i primi della lista di coloro che hanno
messo a morte. L’Iraq soprattutto desta molta preoccupazione per “un allarmante aumento”:
129 esecuzioni, il doppio rispetto al 2011. Mentre in Siria è ancora impossibile,
a causa del conflitto, stabilire se vi siano state esecuzioni. Ad aprire l’elenco
la Cina, con un numero di esecuzioni segreto ma che riguarda, denuncia Amnesty, più
persone che il resto del mondo messo insieme. Tra i primi sei Paesi si trovano anche
Stati Uniti – unico delle Americhe a compiere ancora esecuzioni, 43 nel 2012 – e Yemen,
e nell’elenco figura anche un Paese della regione europea:
"La Bielorussia
continua ad essere l’unico Paese nella regione europea ad eseguire condanne a morte.
Lo fa informa segreta, non ne dà pubblicità, ma nel 2012 abbiamo contezza che siano
state eseguite almeno tre condanne a morte".
Impiccagione, decapitazione,
fucilazione e iniezione letale sono i metodi utilizzati per punire crimini che, spiega
Amnesty, “hanno incluso anche reati non violenti, legati alla droga e di natura economica,
ma anche l’apostasia, la blasfemia e l’adulterio, che non dovrebbero assolutamente
essere considerati reati”. Ci sono però esempi positivi, come quello rappresentato
dal Vietnam, che non ha eseguito alcuna condanna:
"Ad esempio, la Lettonia,
che forse non tutti sapevano che era un Paese che ancora prevede la pena di morte,
è stato il 97.mo Paese al mondo ad abolirla per tutti i reati. Alcuni Stati degli
Stati Uniti, in particolare il Connecticut, nel 2012 ha abolito la pena di morte".
Altri importanti esempi virtuosi si trovano nell’Africa subsahariana.
In Benin, che continua a fare passi avanti per abolire la pena di morte dalla sua
legislazione così come in Sierra Leone, dove non ci sono più prigionieri nel braccio
della morte:
"Noi siamo molto fiduciosi e siamo sicuri che questo processo
non si arresterà perché l’opinione pubblica a livello mondiale è contraria in gran
parte alla pena di morte. Ormai, è opinione globale e risulta anche da numerosissimi
studi che la pena di morte non ha alcun valore deterrente. Purtroppo, come si diceva,
viene utilizzata per scopi politici. Quindi, per associazioni e organizzazioni come
Amnesty International è molto importante continuare a fare pressione a livello internazionale
e diplomatico, quindi attraverso le Nazioni Unite, e a livello nazionale perché i
nostri governi facciano sentire sempre di più la loro voce".