Onu: allarmante proliferazione di armi libiche in Medio Oriente e Africa
A due anni dalla crisi che ha fatto crollare il regime di Gheddafi, la Libia è all’origine
di un’“allarmante” proliferazione di armi destinate ad infoltire gli arsenali di gruppi
estremisti e criminali nell’intera regione, a cominciare dalla Siria e dal Mali. E’
questa la principale conclusione di un rapporto stilato da un gruppo di esperti del
Consiglio di sicurezza dell’Onu incaricato di monitorare l’embargo sulle armi imposto
alla Libia durante la rivolta del 2011. “I trasferimenti illeciti di armi leggere
e pesanti, inclusi sistemi di difesa aerea, munizioni e ordigni di vario genere, rappresentano
una violazione aperta dell’embargo e sono destinati verso una dozzina di Paesi” sottolinea
il documento pubblicato martedì scorso e ripreso dall'agenzia Misna. Pertanto le armi
libiche vengono utilizzate nei conflitti aperti in Medio Oriente e Africa da “forze
non governative, inclusi gruppi terroristici” si legge nel rapporto ripreso dall'agenzia
Misna, che evidenzia il caso della Siria, da due anni teatro di un braccio di ferro
tra gruppi ribelli e forze del presidente Bashar al Assad. Carichi di armi in partenza
da Misurata e Bengasi raggiungono la Siria attraverso la Turchia e il nord del Libano.
“Un flusso significativo che fa pensare che le autorità locali possono essere al corrente
su quanto accade, anche se non sarebbero direttamente coinvolte” precisano gli esperti
Onu. L’altra rotta individuata porta le armi libiche verso l’Egitto, ancora instabile
a due anni dalla caduta del regime di Hosni Mubarak, in particolare a beneficio dei
gruppi armati operativi nel Sinai, regione desertica confinante con Israele, ma anche
di quelli attivi nella Striscia di Gaza. Guardando in direzione del Sahel, armi provenienti
dalla Libia transitano verso il sud della Tunisia, dell’Algeria e nel nord del Niger
per poi raggiungere il Mali, in preda a un conflitto che da gennaio 2012 mette a confronto
movimenti ribelli tuareg ed islamici al governo di Bamako. Ma secondo l’inchiesta
Onu, queste armi e munizioni vengono anche utilizzate da reti criminali internazionali
operative nel Sahel, nei traffici di droga e nel controllo delle strade. Il documento
punta inoltre il dito sul Qatar e gli Emirati Arabi, due Paesi accusati di aver violato
l’embargo sulle armi libiche, e di conseguenza di essere in parte responsabili della
proliferazione regionale degli arsenali di Tripoli. Ma i traffici illeciti vengono
anche spiegati dagli esperti come la conseguenza diretta di un “sistema di sicurezza
interno carente, che non riesce a controllare il materiale militare in possesso delle
varie milizie e dei civili, né i propri confini con i paesi vicini”. Pochi giorni
fa lo stesso primo ministro libico Ali Zeidan ha dichiarato che la sicurezza nel Paese
è “molto ridotta” e ha riconosciuto che il Paese vive “in un periodo di grande vulnerabilità”.
Negli ultimi mesi milizie armate libiche in lotta tra di loro per il controllo del
territorio, sostituendosi a forze di sicurezza carenti, si sono rese responsabili
di attacchi e rapimenti ai danni di personalità politiche, istituzioni governative
e diplomatiche. Il mese scorso con una risoluzione approvata all’unanimità, il Consiglio
di sicurezza si è detto “preoccupato” per la proliferazione illecita di armi e materiale
militare nella regione e ha rinnovato per un anno il mandato della locale missione
Onu. Pur avendo concesso al governo libico alcune facilitazioni nell’acquisto di materiale
militare non letale destinato alle proprie forze di sicurezza, i 15 Stati membri si
sono detti “allarmati” per le numerose denunce di “torture, detenzioni arbitrarie
ed esecuzioni extragiudiziarie” che giungono dalle prigioni libiche. (R.P.)