Italia, politica. Baggio: scelta comune del Capo dello Stato sarebbe segnale forte
in Europa
In attesa dell’elezione del nuovo Presidente della Repubblica, in Italia la politica
sembra in stallo mentre si aggrava la crisi economica a danno, in particolare, di
famiglie e piccole e medie aziende. I disoccupati hanno ormai raggiunto la cifra di
un milione di persone senza lavoro, i quali – secondo l’Ilo, l’Organizzazione Internazionale
del Lavoro – sono 26 milioni in tutta Europa. Il parlamento sembra bloccato in un
gioco di veti incrociati e tatticismi che ampliano le divergenze tra Paese reale,
i cittadini, e il Paese legale, le istituzioni. Sulla situazione politica italiana,
l'opinione del politologo cattolico, Antonio Maria Baggio,al microfono
di Luca Collodi:
R. – Di fronte
al risultato elettorale che mostra tre forze tra di loro equivalenti – una delle quali
però, il movimento di Grillo, non disposta a collaborare al governo – era evidente
che le prime due, centrodestra e centrosinistra, assieme alla forza del professor
Monti, dovessero continuare, non per cercare governissimi che non sono possibili perché
ci sono disaccordi profondi, ma per creare un governo della durata di un anno un anno
e mezzo, che prima di tutto cambi la legge elettorale, che faccia delle cose importanti
in economia per dare alle famiglie la possibilità di spendere qualcosa in più di quello
che hanno adesso, alle imprese di risollevarsi, e prendere alcuni degli elementi che
i grillini portano avanti sulla pulizia della politica, sulla trasparenza, in modo
da prendere sul serio quello che vogliono gli italiani. Tutto questo, in un anno un
anno e mezzo, si può fare per tornare alle urne senza aver perso tempo.
D.
– È giusto, guardando al bene comune, assistere impotenti a una politica fatta di
tatticismi e di veti incrociati?
R. – Va sottolineato che c’è la crisi economica.
Ci sono tante difficoltà. Ma il problema specifico dell’Italia è che la politica,
che dovrebbe essere lo strumento per risolvere questi problemi, è diventato a sua
volta un problema. Questo è il momento di alzare la voce, perché i partiti impongano
a se stessi le riforme senza le quali il Paese cadrebbe veramente in una crisi terribile.
D.
– Il laicato cattolico in questa situazione di stallo cosa può fare? Conta ancora
qualcosa?
R. – Il laicato cattolico, intanto, è attivo ed è presente in tutte
le situazioni sociali. La cosa in cui manca è il secondo gradino, il secondo passo,
cioè portare questa competenza e questa presenza nel sociale a un livello di riflessione
politica. Questo spesso avviene per richiamo della gerarchia ecclesiastica. Allora
nascono le varie Todi. Allora, ecco che coloro che sono presenti a certi convegni
organizzati dalla Chiesa poi li ritroviamo come ministri. Ma questo non è il procedimento
normale; non è il linguaggio della politica. La politica deve parlare prima di tutto
dal basso. Allora, il grande sforzo che il laicato cattolico in prima persona dovrebbe
fare oggi è proprio quello di rappresentare la società, di ridare fiato al sociale
partendo dal basso e con programmi chiari. In questi giorni, il presidente Napolitano
ha fatto un richiamo al ’76, un periodo in cui si formò un governo di minoranza, monocolore
democristiano, guidato da Andreotti, che aveva l’appoggio diretto e indiretto delle
altre forze politiche. Alla base di tutto questo, non c’era un mero tatticismo, ma
un pensiero politico che era espresso da Moro. Ciò di cui oggi si sente la mancanza
è proprio la presenza di un pensiero politico laico, che abbia un’ispirazione cattolica,
ma che abbia anche la capacità di parlare a tutti come faceva quello di Moro.
D.
– Il rilancio dell’Italia può ripartire dal nuovo presidente della Repubblica?
R.
– Sì. Ma spero veramente che non venga eletto un uomo di parte, perché sarebbe possibile
per la sinistra farlo, se non ci fosse un accordo con le prime elezioni, quando si
abbassa il quorum. Spero sia una persona sulla quale ci sia un grande concorso di
volontà e di adesione, perché questo sarebbe il primo segnale nei confronti dei mercati,
dell’Europa e di tutti, di una volontà da parte del Paese di uscire dalla situazione
attuale. Non eleggiamo, non scegliamo il presidente in base ai tatticismi di partito.
Questo sarebbe un disastro. Scegliamo il presidente pensando a uno statista che deve
garantire all’Italia una stabilità politica per tutti e sette gli anni del suo mandato.
Io spero che magari sia parli un po’ di più prima: perdiamo un giorno in più per parlarsi
tra i partiti, ma che si faccia una scelta responsabile per il bene di tutti.