2013-04-05 13:49:02

Offshore leaks: è terremoto sui grandi evasori fiscali nel mondo


Si chiama "Offshore leaks" ed è il più duro e vasto attacco mai realizzato al buco nero dell'economia mondiale. Oltre un centinaio di migliaia di evasori, tra cui 200 italiani finiti nel database sui "paradisi fiscali", sono contenuti nel Rapporto stilato dal Consorzio internazionale dei giornalisti d’inchiesta di Washington con la collaborazione di 38 testate, tra cui l’Espresso. Nel mirino, 12 mila società, molte grandi banche. Ed è già bufera sull’Eliseo. Il servizio di Cecilia Seppia:RealAudioMP3

Politici, industriali, oligarchi, trafficanti d’armi e uomini della finanza internazionale: sono i grandi evasori mimetizzati nei "paradisi fiscali" che spuntano fuori dalla imponente mole di documenti segreti raccolti, in un anno, dal Consorzio dei giornalisti d'inchiesta con sede a Washington. 130 mila titolari di conti correnti e investimenti tramite 12 mila società offshore lungo un arco temporale di 30 anni, per un ammontare di somme sottratte al fisco dei 170 Paesi di provenienza stimato tra i 21 mila e i 32 mila miliardi di dollari. I primi risultati sono già apparsi sui quotidiani inglese Guardian, sull'americano Washington Post, sul francese Le Monde. Per l'Italia, il caso è stato seguito dal L'Espresso. Finora, il nome più celebre a finire nelle maglie dell’Inchiesta è quello di Jean Jaques Augier, titolare di conti alle Cayman, e tesoriere della campagna elettorale del presidente francese, Hollande, che ha però ammesso di non saperne niente. C’è poi la Russia con i responsabili di Gazprom e la moglie del vicepremier Shuvalov, l'oligarca Michail Fridman. Ancora, l’industriale tedesco Gunter Sachs. Sotto accusa anche gli investmenti offshore di Grecia e Spagna. Tra i "paradisi fiscali" più ambiti, le Isole Cook e le Isole Vergini. Il portavoce della Commissione Ue, Bailly, promette amare conseguenze per tutti i luoghi che accettano o nascondono i proventi dell'evasione che ogni anno nell'Unione europea supera i mille miliardi di euro.

Un'inchiesta dalle cifre globali che pone in essere tante questioni. Al microfono di Cecilia Seppia, il commento di Luigi Paganetto, docente di Economia internazionale all’Università Tor Vergata:RealAudioMP3

R. – Siamo ancora di fronte a un sistema finanziario internazionale che non ha regole condivise e soprattutto con aree di salvaguardia per coloro che vogliono evadere il fisco. Questo è un problema che finisce addirittura per determinare una concorrenza tra aree che attraggono questi capitali.

D. – Somme sottratte al fisco per cifre comprese tra i 21 mila ed i 32 mila miliardi di dollari: quanto questi soldi sarebbero potuti servire, o potrebbero servire, per ridare ossigeno ai Paesi in difficoltà e risolvere questa crisi economica finanziaria che stiamo vivendo?

R. – Io credo che il punto è anche questo, ma è soprattutto quello di tener presente che queste somme sottratte al fisco finiscono per aumentare l’ineguaglianza dei redditi a livello dei singoli Paesi e tra i Paesi, perché questo fenomeno – largamente documentato anche dall’indagine dell’Ocse – è un fenomeno importante. È chiaro che chi si sottrae al fisco è chi ha un reddito molto elevato, o comunque tale da indurlo a rischiare per ottenere questo vantaggio. È anche evidente anche che questo aumenta la percentuale di coloro che ottengono redditi alti senza pagare la tassazione e sottraggono queste risorse a una distribuzione verso coloro che hanno meno.

D. – Tante le banche coinvolte e anche questo è un dato che fa riflettere, visto proprio il ruolo degli istituti di credito nella crisi...

R. – Le istituzioni bancarie hanno una propensione a determinare una certa professionalità che serve ai clienti per collocare i loro capitali là dove sono più protetti. Questo riguarda il modo e le regole attraverso cui sono regolate appunto le banche. L’idea che oggi in Europa si stia realizzando un sistema di sorveglianza bancaria unificato significa che è qualcosa comunque sta cambiando nella direzione giusta.

D. – Molte anche le istituzioni compromesse in questa indagine: il caso della Francia con il tesoriere della campagna elettorale del presidente Hollande, che sarebbe poi titolare di conti alle Cayman. Poi c’è la Germania: c’è bisogno di ricorrere ai ripari con sistemi più controllati, anche legislativamente parlando?

R. – Non c’è dubbio. Questo è un problema di grandissima importanza, perché quello che colpisce l’osservatore è la coazione a ripetere: la tendenza per cui, nonostante i tanti casi in cui queste questioni vengono fuori, c’è comunque la propensione di tanti a cercare a evitare di pagare il giusto. Questo è qualcosa che merita una tensione politica molto forte.

D. – Tra i “paradisi fiscali” che sono stati individuati in questa inchiesta ci sono le Isole Vergini, le Cook... Il premier britannico Cameron ha detto che porterà il caso al prossimo G8. Quindi, riflettori accesi su un caso che spaventa e forse è la prima volta a livello globale…

R. – Sì, sta crescendo l’attenzione. Però, qui c’è un aspetto che bisogna considerare: indubbiamente, il premier inglese queste cose le ha dette, ma va anche ricordato che la Gran Bretagna è il più grande centro finanziario internazionale a livello europeo. Che ci sia una così attenta considerazione da parte del premier è naturale: si vorrebbe che non ci fosse una concorrenza da parte di soggetti come le Cayman, o come altri “paradisi fiscali”, perché questi redditi finirebbero per collocarsi nel mondo finanziario londinese che è certamente quello più attraente e più organizzato.







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