2013-04-03 14:36:52

Santa Sede: "notevole risultato" il Trattato Onu sul commercio delle armi


“Un risultato notevole che introduce un principio di legalità”: così il Pontificio Consiglio Giustizia e Pace ha commentato l’approvazione all’Onu del primo storico Trattato internazionale sul commercio delle armi convenzionali. “Una vittoria per la gente del mondo” ha aggiunto il segretario generale delle Nazioni Unite per il quale ora è più difficile “l'utilizzo di armi letali da parte di criminali, terroristi e signori della guerra”. Il servizio di Benedetta Capelli:

E’ il fragoroso applauso a sottolineare l’importante passo compiuto. L’Assemblea generale, con 154 i voti a favore, ha approvato il Trattato sul controllo delle armi convenzionali; 23 i Paesi che si sono astenuti, 3 i contrari: Iran, Corea del Nord e Siria, gli scenari che più preoccupano la comunità internazionale. Storico - come molti hanno definito questo documento – è anche il sì degli Stati Uniti, uno dei principali produttori di armi, e che al suo interno continua però a coltivare l’opposizione della “National Rifle Association”, che è appunto la lobby dei produttori di armi. Il documento è arrivato al traguardo dopo quasi dieci anni di trattative, imponendo per la prima volta maggiore trasparenza internazionale a un giro d’affari da 70 miliardi di dollari l’anno. Il principio guida della nuova norma è condizionare la vendita di armi al rispetto dei diritti umani da parte del compratore. Il Trattato chiede dunque ai governi di assicurarsi che i contratti privati non violino l’embargo di armi e non finiscano col mettere strumenti di morte nelle mani di criminali o terroristi. Per questo, il documento impone ai Paesi di adottare regole più severe e attuare maggiori controlli prima di concedere licenze ai commercianti. Per entrare in vigore, occorrerà che almeno 50 Stati ratifichino il Trattato e su questa direzione bisognerà procedere.


Quello del Trattato sul commercio delle armi è un testo fortemente voluto dalla Santa Sede, che più volte ha fatto appello negli anni perché si varasse un provvedimento “efficace”, imperniato sulla tutela della persona umana. Benedetta Capelli ha chiesto un parere a Vittorio Alberti, officiale del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace:RealAudioMP3

R. - Il risultato, dal punto di vista storico, è notevole sia in linea di principio che sul piano degli intenti esposti anche dalla Dottrina Sociale della Chiesa, che si traducono poi in atti storici e politici, e lo è anche in termini di diplomazia. È notevolissimo poiché introduce un principio di legalità lì dove è tendenzialmente assente. Quindi, in questo senso, riteniamo che sia un risultato della Santa Sede e un risultato anche di civiltà.

D. - La Santa Sede aveva chiesto più volte la possibilità che ci fosse un largo consenso intorno ad "un testo credibile e forte" e soprattutto che si mettesse al centro la persona umana. Sull’ancorare il trattato al rispetto dei diritti umani...qualcosa insomma è stato fatto…

R. - Sì, sicuramente. È difficile parlare di difesa dei diritti umani, della persona umana, quando si parla di armi. Quindi, bisogna muoversi nel compromesso che non è necessariamente un fatto negativo: l’ideale sarebbe la costruzione politica della pace, come anche auspica l’enciclica Pacem in Terris, della quale quest’anno ricorre l’anniversario. Diciamo che la difesa della persona umana, anche nell’ampio orizzonte di questo trattato, risente di alcune difficoltà storiche ed oggettive, ma sicuramente introdurre un criterio giuridico - come questo trattato ha introdotto - è un fatto decisamente positivo. La dinamica di questo trattato ha maggioranze, minoranze, voti di astensione da parte di grandi potenze - gli Stati Uniti invece l’hanno sostenuto - poi entrando nel dettaglio si possono fare ulteriori commenti, ma il risultato c’è stato e siamo soddisfatti.

D. - Molti esperti ritengono che questo sia un trattato un po’ al ribasso…

R. - Si poteva fare di più, ma sul piano storico direi che è comunque un ottimo risultato. La possibilità di aggirare il Trattato è un limite di qualunque legge umana positiva. Speriamo che ciascuno Stato assuma giuridicamente, in termini concreti e di realizzazione, questo principio. La storia avrà il suo corso, ma anche la diplomazia della Santa Sede spingerà continuamente su questo tasto.

D. - Dicevamo dei Paesi che hanno votato e quelli che si sono astenuti: gli Stati Uniti hanno detto sì. È un cambiamento veramente storico…

R. - Gli Stati Uniti hanno detto sì, ma gli Stati Uniti perpetuano la loro tradizione democratica in questo senso: a differenza di altre nazioni molto forti, gli Stati Uniti comunque restano una grande democrazia e quindi, in questo senso, c’è un prestare fede alla propria tradizione.


Sull’importanza del Trattato sul commercio delle armi convenzionali, Benedetta Capelli ha raccolto l’opinione di Maurizio Simoncelli, vicepresidente di Archivio Disarmo:RealAudioMP3

R. - Certamente è un accordo storico, arrivato dopo circa una decina di anni in cui c’erano state una serie di iniziative che sono partite - non dimentichiamolo - dalla società civile. Siamo arrivati così ad un trattato. Però, purtroppo si presenta estremamente indebolito rispetto a quanto si richiedeva.

D. - Quali sono allora le criticità di questo accordo sottoscritto?

R. - Questo è stato praticamente un compromesso a ribasso voluto da diversi Paesi, tra cui Stati Uniti, Russia, India e Cina. Sostanzialmente, abbiamo un trattato che riguarda solo i principali sistemi d’arma: i carri armati, i sistemi di artiglieria di grosso calibro, aerei, elicotteri, navi, sottomarini, missili, nonché le armi leggere ad uso militare. Però, rimangono fuori - con limitate forme di controllo - le munizioni e le componenti di armi, mentre restano totalmente fuori la armi da fuoco che non sono di esclusivo uso militare, le armi elettroniche, radar, satelliti ed i trasferimenti di armi che vengono fatti all’interno di accordi governativi, programmi di assistenza e cooperazione militare… Quindi a volte si può aggirare l’ostacolo realizzando un accordo di cooperazione con il Paese destinatario, ed ecco che in quel caso tale intesa non rientra più nel campo di applicazione di questo trattato. È un trattato che lascia dunque ampi margini di manovra. Il problema è vedere in che modo i Paesi che sono i grandi produttori di armi lo applicheranno e soprattutto se utilizzeranno tutte le possibili vie di fuga che questo trattato consente.

D. - Però professore, c’è un vincolo importante che è quello legato al rispetto dei diritti umani…

R. - Sicuramente. Ci sono degli elementi positivi ed una serie di divieti. È un primo piccolo passo. Non è esattamente quello che si voleva, probabilmente ci sarà da lavorare ancora. Il fatto che sia stato approvato nell’ambito dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite permetterà successivamente di intervenire e di integrarlo attraverso alcuni protocolli opzionali coinvolgendo l’Assemblea nel miglioramento del trattato. Adesso il problema è quello di riuscire a farlo ratificare al più presto da almeno 50 Stati; a questo punto il trattato diverrebbe effettivamente esecutivo.

D. - Forse questo trattato è storico anche perché c’è stato - per la prima volta – il sostegno degi Stati Uniti…

R. - Certamente. Gli Stati Uniti si sono trovati nella sessione precedente la Conferenza - che si è svolta nel luglio del 2012 - a dover subire fortemente le pressioni della lobby dei produttori d’armi statunitensi che aveva inviato una lettera redatta da circa 51 senatori repubblicani e democratici. Nella missiva si intimava il presidente Obama a non aderire a questo trattato perché altrimenti non sarebbe stato ratificato in Senato. Obama in quell’occasione ha ceduto chiedendo un rinvio, anche perché si trovava in piena campagna elettorale. In quest’ultima conferenza che si è conclusa nella settimana scorsa, gli Stati Uniti hanno mutato la loro posizione e, a questo punto, nell’ultima votazione nell’Assemblea generale hanno deciso di votare il trattato. Certamente la posizione favorevole da parte degli Stati Uniti e comunque l’astensione di altri Paesi come la Russia, la Cina, ha permesso il via libera all’intesa.







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