Santa Sede: "notevole risultato" il Trattato Onu sul commercio delle armi
“Un risultato notevole che introduce un principio di legalità”: così il Pontificio
Consiglio Giustizia e Pace ha commentato l’approvazione all’Onu del primo storico
Trattato internazionale sul commercio delle armi convenzionali. “Una vittoria per
la gente del mondo” ha aggiunto il segretario generale delle Nazioni Unite per il
quale ora è più difficile “l'utilizzo di armi letali da parte di criminali, terroristi
e signori della guerra”. Il servizio di Benedetta Capelli:
E’ il fragoroso
applauso a sottolineare l’importante passo compiuto. L’Assemblea generale, con 154
i voti a favore, ha approvato il Trattato sul controllo delle armi convenzionali;
23 i Paesi che si sono astenuti, 3 i contrari: Iran, Corea del Nord e Siria, gli scenari
che più preoccupano la comunità internazionale. Storico - come molti hanno definito
questo documento – è anche il sì degli Stati Uniti, uno dei principali produttori
di armi, e che al suo interno continua però a coltivare l’opposizione della “National
Rifle Association”, che è appunto la lobby dei produttori di armi. Il documento
è arrivato al traguardo dopo quasi dieci anni di trattative, imponendo per la prima
volta maggiore trasparenza internazionale a un giro d’affari da 70 miliardi di dollari
l’anno. Il principio guida della nuova norma è condizionare la vendita di armi al
rispetto dei diritti umani da parte del compratore. Il Trattato chiede dunque ai governi
di assicurarsi che i contratti privati non violino l’embargo di armi e non finiscano
col mettere strumenti di morte nelle mani di criminali o terroristi. Per questo, il
documento impone ai Paesi di adottare regole più severe e attuare maggiori controlli
prima di concedere licenze ai commercianti. Per entrare in vigore, occorrerà che almeno
50 Stati ratifichino il Trattato e su questa direzione bisognerà procedere.
Quello
del Trattato sul commercio delle armi è un testo fortemente voluto dalla Santa Sede,
che più volte ha fatto appello negli anni perché si varasse un provvedimento “efficace”,
imperniato sulla tutela della persona umana. Benedetta Capelli ha chiesto un
parere a Vittorio Alberti, officiale del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace:
R. - Il risultato,
dal punto di vista storico, è notevole sia in linea di principio che sul piano degli
intenti esposti anche dalla Dottrina Sociale della Chiesa, che si traducono poi in
atti storici e politici, e lo è anche in termini di diplomazia. È notevolissimo poiché
introduce un principio di legalità lì dove è tendenzialmente assente. Quindi, in questo
senso, riteniamo che sia un risultato della Santa Sede e un risultato anche di civiltà.
D.
- La Santa Sede aveva chiesto più volte la possibilità che ci fosse un largo consenso
intorno ad "un testo credibile e forte" e soprattutto che si mettesse al centro la
persona umana. Sull’ancorare il trattato al rispetto dei diritti umani...qualcosa
insomma è stato fatto…
R. - Sì, sicuramente. È difficile parlare di difesa
dei diritti umani, della persona umana, quando si parla di armi. Quindi, bisogna muoversi
nel compromesso che non è necessariamente un fatto negativo: l’ideale sarebbe la costruzione
politica della pace, come anche auspica l’enciclica Pacem in Terris, della
quale quest’anno ricorre l’anniversario. Diciamo che la difesa della persona umana,
anche nell’ampio orizzonte di questo trattato, risente di alcune difficoltà storiche
ed oggettive, ma sicuramente introdurre un criterio giuridico - come questo trattato
ha introdotto - è un fatto decisamente positivo. La dinamica di questo trattato ha
maggioranze, minoranze, voti di astensione da parte di grandi potenze - gli Stati
Uniti invece l’hanno sostenuto - poi entrando nel dettaglio si possono fare ulteriori
commenti, ma il risultato c’è stato e siamo soddisfatti.
D. - Molti esperti
ritengono che questo sia un trattato un po’ al ribasso…
R. - Si poteva fare
di più, ma sul piano storico direi che è comunque un ottimo risultato. La possibilità
di aggirare il Trattato è un limite di qualunque legge umana positiva. Speriamo che
ciascuno Stato assuma giuridicamente, in termini concreti e di realizzazione, questo
principio. La storia avrà il suo corso, ma anche la diplomazia della Santa Sede spingerà
continuamente su questo tasto.
D. - Dicevamo dei Paesi che hanno votato e quelli
che si sono astenuti: gli Stati Uniti hanno detto sì. È un cambiamento veramente storico…
R.
- Gli Stati Uniti hanno detto sì, ma gli Stati Uniti perpetuano la loro tradizione
democratica in questo senso: a differenza di altre nazioni molto forti, gli Stati
Uniti comunque restano una grande democrazia e quindi, in questo senso, c’è un prestare
fede alla propria tradizione.
Sull’importanza del Trattato sul commercio
delle armi convenzionali, Benedetta Capelli ha raccolto l’opinione di Maurizio
Simoncelli, vicepresidente di Archivio Disarmo:
R. - Certamente
è un accordo storico, arrivato dopo circa una decina di anni in cui c’erano state
una serie di iniziative che sono partite - non dimentichiamolo - dalla società civile.
Siamo arrivati così ad un trattato. Però, purtroppo si presenta estremamente indebolito
rispetto a quanto si richiedeva.
D. - Quali sono allora le criticità di questo
accordo sottoscritto?
R. - Questo è stato praticamente un compromesso a ribasso
voluto da diversi Paesi, tra cui Stati Uniti, Russia, India e Cina. Sostanzialmente,
abbiamo un trattato che riguarda solo i principali sistemi d’arma: i carri armati,
i sistemi di artiglieria di grosso calibro, aerei, elicotteri, navi, sottomarini,
missili, nonché le armi leggere ad uso militare. Però, rimangono fuori - con limitate
forme di controllo - le munizioni e le componenti di armi, mentre restano totalmente
fuori la armi da fuoco che non sono di esclusivo uso militare, le armi elettroniche,
radar, satelliti ed i trasferimenti di armi che vengono fatti all’interno di accordi
governativi, programmi di assistenza e cooperazione militare… Quindi a volte si può
aggirare l’ostacolo realizzando un accordo di cooperazione con il Paese destinatario,
ed ecco che in quel caso tale intesa non rientra più nel campo di applicazione di
questo trattato. È un trattato che lascia dunque ampi margini di manovra. Il problema
è vedere in che modo i Paesi che sono i grandi produttori di armi lo applicheranno
e soprattutto se utilizzeranno tutte le possibili vie di fuga che questo trattato
consente.
D. - Però professore, c’è un vincolo importante che è quello legato
al rispetto dei diritti umani…
R. - Sicuramente. Ci sono degli elementi positivi
ed una serie di divieti. È un primo piccolo passo. Non è esattamente quello che si
voleva, probabilmente ci sarà da lavorare ancora. Il fatto che sia stato approvato
nell’ambito dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite permetterà successivamente
di intervenire e di integrarlo attraverso alcuni protocolli opzionali coinvolgendo
l’Assemblea nel miglioramento del trattato. Adesso il problema è quello di riuscire
a farlo ratificare al più presto da almeno 50 Stati; a questo punto il trattato diverrebbe
effettivamente esecutivo.
D. - Forse questo trattato è storico anche perché
c’è stato - per la prima volta – il sostegno degi Stati Uniti…
R. - Certamente.
Gli Stati Uniti si sono trovati nella sessione precedente la Conferenza - che si è
svolta nel luglio del 2012 - a dover subire fortemente le pressioni della lobby dei
produttori d’armi statunitensi che aveva inviato una lettera redatta da circa 51 senatori
repubblicani e democratici. Nella missiva si intimava il presidente Obama a non aderire
a questo trattato perché altrimenti non sarebbe stato ratificato in Senato. Obama
in quell’occasione ha ceduto chiedendo un rinvio, anche perché si trovava in piena
campagna elettorale. In quest’ultima conferenza che si è conclusa nella settimana
scorsa, gli Stati Uniti hanno mutato la loro posizione e, a questo punto, nell’ultima
votazione nell’Assemblea generale hanno deciso di votare il trattato. Certamente la
posizione favorevole da parte degli Stati Uniti e comunque l’astensione di altri Paesi
come la Russia, la Cina, ha permesso il via libera all’intesa.