"Lettere a mia figlia". Antonio Socci: il Signore ci raggiunge attraverso le testimonianze
dei fratelli
Un libro di storie di “fede”: così si potrebbe definire “Lettere a mia figlia”, pubblicato
recentemente dalla Rizzoli, nel quale il giornalista Antonio Socci racconta l’esperienza
della sua famiglia colpita nel 2009 dal dramma della figlia primogenita, entrata in
coma dopo un’inspiegabile arresto cardiaco, e che ora dopo essersi risvegliata sta
affrontando una cammino di ripresa. Ma ad essere narrate sono anche le storie di tante
altre persone che ogni giorno attraversano il mare della vita sulla Croce di Cristo,
senza annegare. “L’amore sa aspettare, aspettare a lungo, aspettare fino all’estremo”:
questa citazione del teologo luterano Dietrich Bonhoeffer, ucciso dai nazisti, è riportata
all’inizio del libro. Sentiamo lo stesso Antonio Socci nell’intervista di Debora
Donnini:
R. – Credo che
nel sapere aspettare ci sia il riconoscimento del disegno di Dio, nel senso che i
tempi sono quelli che il Signore vuole. C’è da dire di grande e di buono che la preghiera
può accorciare i tempi e può anche rendere possibile l’impossibile, però a me pare
che in quella frase di Bonhoeffer ci sia la certezza che alla fine l’amore vince e
la disponibilità ad accettare che vinca secondo il piano di Dio che sa tutto, sa più
di noi …
D. – Come sta in questo momento sua figlia nel cammino di questi anni,
fatto di una ripresa lenta, con alti e bassi?
R. – E’ un cammino lungo, anche
drammatico, molto faticoso. Diciamo che pur essendo una Via Crucis, la sta percorrendo
con una straordinaria forza che forse le viene dall’accostarsi quotidianamente all’Eucaristia,
oltre che dal soccorso di una grazia che l’ha avvolta fin dal primo istante, quando
ha avuto l’arresto cardiaco. Quindi, il cammino è ancora molto, molto lungo, pieno
di incognite però pian piano stiamo andando avanti. Fin dall’inizio noi abbiamo la
sensazione di essere dentro ad un grande miracolo, perché quando parliamo con i medici
e raccontiamo che Caterina ha avuto il cuore fermo per oltre un’ora e un quarto e
che poi il cuore ha ripreso a battere, tutti ci guardano con gli occhi fuori dalle
orbite e non ci credono. Non solo: che lei si sia svegliata dal coma e che abbia fatto
un recupero cognitivo, di coscienza, come quello che ha fatto, per noi è tutto un
grande miracolo a rallentatore! Diciamo che in quell’ora in cui non so quanto abbiamo
pregato, quanto urlato al cielo, la sensazione è stata che ci fosse stata restituita.
D.
– C’è una frase che Papa Francesco ha detto nell’omelia delle Palme, molto bella,
che rispecchia anche quello che lei ha scritto: “La croce di Cristo - ha detto il
Papa - abbracciata con amore mai porta alla tristezza, ma alla gioia, alla gioia di
essere salvati e di fare un pochettino quello che ha fatto Lui quel giorno della sua
morte”. Lei ha riportato diverse testimonianze in questo senso …
R. – E’ come
se il Papa descrivesse o annunciasse “cose dell’altro mondo” che possono accadere
in questo mondo ma che sono frutto della grazia, perché l’uomo con le sue sole forze,
sotto prove così terribili come quelle che la vita ci offre, non ce la fa. Questa
è un’esperienza che, quando si è nella sofferenza o nella malattia, si prova continuamente.
Ma l’esperienza che si fa –veramente misteriosa, non c’è nessun automatismo – è che
con la grazia ci si stupisce perfino di noi: ci troviamo una forza e anche una inspiegabile
letizia che non è cosa nostra. E le testimonianze che ho riportato nel libro hanno
tutte questa caratteristica. Quando sono nella prova, sento che in ogni momento potrei
sprofondare nel baratro, ma Lui in realtà può tutto e ci dà una forza straordinaria.
D.
– Nelle tante storie che riporta c’è quella di Chiara Corbella, la ragazza morta molto
giovane, dopo aver partorito il terzo figlio, e dopo che i suoi primi due figli erano
praticamente morti dopo la nascita. Ci sono testimonianze molto toccanti …
R.
– Il libro è pieno di testimonianze e storie di questo genere, perché sono le storie
che ci hanno sostenuti in questi tre anni. Nel nostro cammino cerchiamo innanzitutto
la forza nei Sacramenti e l’altro modo con cui il Signore ci raggiunge e ci porta,
è la testimonianza dei fratelli. E tutte queste testimonianze di eroismo della fede,
della speranza e della carità sono il modo in cui il Signore ci dice: “Forza!”. Io
le ho raccolte per questo. Le lettere che ricevo mi testimoniano questo: persone che
all’interno della prova e della sofferenza, di fronte alle testimonianze di altri
fratelli, trovano esse stesse forza e conforto.
D. – Lei ha ricevuto anche
messaggi di persone che, vedendo la fede con cui si affrontava questa sofferenza,
si sono riavvicinate a Gesù Cristo?
R. – Io ho ricevuto centinaia di mail e
molte mail sono anche di persone che mi dicono: “Ero lontano dalla Chiesa da venti
anni, non mi accostavo ai Sacramenti da anni, e per la vicenda di Caterina sono tornato
in Chiesa”, si sono confessate e comunicate. Ci sono testimonianze di persone che
combattevano e combattono con tumori, con malattie gravissime, malati terminali che
si sono trovate a dire: “Offro i miei ultimi giorni di vita per Caterina”, ma nel
senso di tornare ad un rapporto che dica “Tu” al Signore. Caterina è sempre stata
parte della comunità cristiana, ha vissuto nella comunità di Comunione e Liberazione,
ha sempre avuto questo slancio missionario e aveva sempre questa ansia di raggiungere
tutti ed è abbastanza impressionante e misterioso come paradossalmente il Signore
le abbia permesso di raggiungere migliaia di persone nel momento della sua massima
impotenza, cioè quando si trovava distesa sul letto, in coma o incapace anche di muoversi.