2013-03-30 15:35:17

A Milano, l'ultimo caloroso abbraccio di artisti e amici a Enzo Jannacci


Da questa mattina una lunga fila di artisti e gente comune, ammiratori e colleghi, sta rendendo omaggio alla salma di Enzo Jannacci, scomparso ieri sera dopo una lunga malattia. Con la sua musica ha dato voce ai diseredati, ci ha regalato una poesia spiazzante, ha rivoluzionato il modo di fare la canzone italiana: sono tanti i messaggi che anche sul web così ricordano un artista eclettico, nato e vissuto nell’amata Milano dove dal 1959 ha cominciato a fare spettacolo. Il servizio di Gabriella Ceraso:RealAudioMP3

Jannacci è stato tante cose insieme: così vogliamo ricordarlo. Cardiologo e comico, cantautore e autore, più di 30 album, tante colonne sonore e collaborazioni con i grandi del teatro, del cinema e della tv; capo-scuola del cabaret, divo del teatro-canzone anche se la sua prima etichetta fu quella di pioniere del rock-‘n-roll per il sodalizio di oltre 40 anni, che negli anni Cinquanta strinse con Gaber, suo grande amico, come più tardi fu Dario Fo, ma anche con Celentano, Tenco e Little Tony. La sua cifra espressiva, assolutamente unica. Franz Coriasco, critico musicale:

“Questo sapere raccontare la vita con un linguaggio che in prima battuta è estremamente popolare, così come erano estremamente stradaioli i suoi personaggi; ma che racchiudeva un’anima molto profonda: c’era la sua attenzione agli emarginati, agli ultimi, ma direi anche ai giullari, quale lui stesso è stato …”.

Emblematico, a questo proposito, il “Vengo anch’io – no, tu no”, il tormentone che sdoganò Jannacci, solo apparentemente una canzone-paradosso. Da qui, tanti altri successi: “Giovanni Telegrafista”, “L’Armando”, “Veronica”, “Andava a Rogoredo”. Sempre sociologico, il taglio dei suoi testi, ma mediato dalla poesia e mai volgare. Milano, la sua culla e la sua ispirazione. Ancora Coriasco:

“Al pari di Gaber, sono stati i primi a cogliere che sotto ai coriandoli del miracolo italiano in realtà c’erano delle inquietudini che poi sarebbero sopravvissute. Poi, lui è sempre stato un personaggio che non ha mai amato troppo il pubblico: me lo ricordo in tante interviste. Già questo suo parlare sbiascicato, indolente, che era però semplicemente di facciata. E poi, magari, riteneva urticanti certi riti tipici del music-business o della comunicazione all’interno del mondo dello spettacolo. Anzi, di questo amava dimostrarsi in tutti i modi decisamente altro. Un’altra cosa molto bella che ha saputo fare Jannacci è stato il rapporto con suo figlio, che è diventato poi, alla fine, una colonna fondamentale del suo continuare ad essere artista anche negli ultimi anni della sua carriera. Cosa bellissima, ma purtroppo rara …”.







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