"Su Re": nei cinema italiani una drammatica versione della Passione di Gesù
Sugli schermi una potente e drammatica versione della Passione di Gesù: il regista
sardo Giovanni Columbu ambienta “Su Re” tra gli scarni altipiani della sua isola,
con personaggi, scelti tra pastori e contadini, che parlano un dialetto antico e un
Cristo che richiama l’immagine dolorosa del Servo sofferente di Isaia. Il servizio
di Luca Pellegrini:
Parlano il dialetto
sardo, una lingua dura, quasi arcana e sconosciuta, e sono avvolti in manti neri di
lana grezza e pelli fino ai piedi, come bronzi nuragici: i personaggi dei Vangeli
stanno spesso immobili, dentro un panorama brullo e primitivo, nel quale il regista
Giovanni Columbu sposta il dramma della Passione. I sassi di Matera, tra i
quali Pier Paolo Pasolini ambientò il suo Vangelo secondo Matteo, non sono
così diversi dalle pietre del monte Corrasi, nei pressi di Nuoro, dove il film è stato
girato. E il regista commenta:
“Aggiungerei questo: che non sono neanche
tanto distanti dalla Palestina, anche se sono luoghi diversi da quelli storici. Il
che sta a dire che la storia di Gesù può essere ritrovata ovunque”.
Una
scelta personale è stata quella di affidare il ruolo di Gesù all’attore Fiorenzo
Mattu, molto lontano dall’iconografia classica, che richiama l’immagine del servo
sofferente di Isaia: “Non ha apparenza né bellezza, per attirare i nostri sguardi,
non splendore per potercene compiacere”:
“Sono partito più dai sentimenti
che dai ragionamenti. Io avvertivo che la rappresentazione del Cristo non potesse
essere ancora una volta una rappresentazione patinata: no. Io sentivo l’esigenza di
un Gesù soprattutto intenso, più che bello esteriormente. Devo dire che lì per lì
ho vissuto, io stesso, un po’ di apprensione perché mi sono posto il problema: magari
con una scelta di questo genere potrebbe risultare offensiva o comunque potrebbe dispiacere,
perché è talmente lontana dal Gesù come è stato rappresentato fino ad oggi, che magari
può suscitare una reazione negativa. Invece, è stato accolto molto molto bene già
sul set e poi, da quello che sembra, anche dal pubblico cinematografico”.
Con
un andamento non cronologico, la Passione procede come un sogno, in cui la natura
ha un ruolo importante:
“Tutto il film tende a nominare poco o a evocare
solo in modo indiretto il mistero della divinità; rimanda piuttosto a quel mistero
e a quell’idea di Dio che è possibile ritrovare più in quel che non è detto che nelle
parole; più nel silenzio o nei suoni o nelle immagini della natura”.
Nel
finale, quando Giuseppe d'Arimatea chiede il corpo di Cristo per dargli sepoltura,
entrano le note del Nunc dimittis di Arvo Pärt. Perché questa scelta?
“Perché
quello è un altro momento in cui in una rappresentazione pur così cruda e violenta,
come lo è quella che si dà appunto in questo film, riaffiora la speranza e riaffiorano
le ragioni di un desiderio di riscatto che è in tutti. Quando a Pilato, che noi abbiamo
visto chiuso in una sorta di spazio metafisico, lui, prigioniero di un suo punto di
vista razionale in questo racconto, in cui tutto sembra asservito al potere, e anche
le persone più vicine a Gesù fuggono, tradiscono; in quel momento cosa succede? Che
si presenta a Pilato e si definisce un amico di Gesù. Ecco, già questo è una cosa
immensa, perché ci vuole coraggio anche per definirsi come un amico: un amico di quella
persona che è stata perseguitata da tutti. Quello è il momento in cui si affermano
le ragioni dei sentimenti, che sono evidentemente molto più vaste di quelle della
pura razionalità. Ed è lì che parte quella musica che è una musica decisamente "da
chiesa" e che quindi ha anche il valore di una sorta di flash forward musicale, cioè
anticipa quello che seguirà a questa vicenda così dolorosa. Nel film, la Resurrezione
è solo annunciata dalle parole di Isaia che dice: “Dopo tanto dolore, Egli tornerà
a splendere e con Lui il mondo”.