Concluso il Vertice di Durban: slitta la creazione di una Banca comune per i Paesi
Brics
Slitta la creazione di una banca d'investimenti comune annunciata dalle potenze economiche
'emergenti' del Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) nell'ambito del loro
quinto vertice annuale, conclusosi ieri a Durban. Un risultato, dunque, a metà, che
sembra far emergere la difficoltà a dar corpo a concrete istituzioni unitarie partendo
da interessi regionali diversi. Fausta Speranza ne ha parlato con l’economista
Giovanni Ferri, docente alle Università Luiss e Lumsa di Roma:
R. – L’obiettivo
della banca era quello di cercare di curare gli interessi di questi cinque Paesi emergenti,
che sono stati individuati come rappresentativi di un più ampio consesso di Paesi
emergenti. Questi Paesi, pur avendo obiettivi tra di loro non necessariamente sempre
concordi, hanno un obiettivo comune, quello di ridurre il potere, l’importanza degli
Stati Uniti e dell’Europa.
D. – Sono emerse più le differenze in questo incontro
e non c’è stato un terreno di accordo...
R. – Al momento non c’è stato, perché
credo che le aspettative fossero troppo alte. Forse questi Paesi potrebbero ripartire
cercando di creare organismi multilaterali tra di loro, per favorire dei progetti
di comune interesse, invece di creare nuovi organismi globali. Altrimenti escono fuori
le contraddizioni. Non esiste una politica estera o una politica commerciale che vada
bene a tutti e cinque, perché ciascuno ha i propri interessi.
D. – Parliamo
di Brasile, Russia, India, Cina, accomunati in questa espressione - Brics - nel 2001
dalla Goldman Sachs, perché erano Paesi che avevano prospettive di grande sviluppo.
Poi si è aggiunto il Sudafrica. Ma oggi, nella congiuntura economica globale che abbiamo
visto in questi anni, che cosa sta accadendo a questi Paesi?
R. – Questi Paesi
stanno frenando la loro crescita e la frenata è avvenuta in maniera differenziata
tra i cinque. Questa frenata avviene nel contesto di una riduzione dell’espansione
a livello mondiale. Questi Paesi, quindi, che si erano affidati alla domanda estera,
al commercio estero, alle loro esportazioni per trainare la propria crescita hanno
dovuto trovare un altro modello di crescita, basato di più sulla domanda interna.
Questo, però, provoca degli squilibri e necessariamente un abbassamento dei tassi
di crescita. In Cina questo ha significato portare la crescita dal 10 o 11 per cento
al 6 o 7 per cento, e negli altri Paesi, che stavano crescendo un po' meno e che hanno
un mercato interno meno grande rispetto a quello della Cina, la crescita si è ridotta
ancora di più e si sta riducendo intorno al 2 o 3 per cento.
D. – Il Brics
è diventato l’immagine mentale per rappresentare i Paesi emergenti, ma nel frattempo
forse altri Paesi si dovrebbero aggiungere in questo elenco?
R. – Io penso
che i Brics siano la cresta dell’onda, ma che sotto l’onda ci sia molto altro. Ad
esempio, l’Indonesia è un Paese che ha 240 milioni di abitanti e un’economia in forte
crescita, mentre la popolazione del Sudafrica è di 50 milioni di abitanti. Credo che
ci sia molto altro: la Turchia, per avvicinarci a noi, sta andando molto bene. Ci
sono vari Paesi emergenti in giro per il mondo e la classificazione dei Brics, quindi,
che ha avuto molto successo a livello mediatico, non ci aiuta più di tanto. L’insuccesso
nella formazione di quella banca poi è abbastanza rivelatore del fatto che non vi
sia un vero collante tra i cinque Paesi.